Colpiti gli adulti nella seconda fase:
si apre a Grafeneck l´era delle camere a gas

La data d´inizio dell´eutanasia degli adulti può essere fissata al 9 ottobre 1939, ad iniziativa anche stavolta del ministero degli interni del Reich per mezzo di una circolare ai responsabili delle case di cura, inviati a riempire un modulo allegato con le generalità di tutti i pazienti, la diagnosi delle loro infermità, dati sui congiunti prossimi ed altri dettagli. L´obbligo della denuncia riguardava i ricoverati non in grado di svolgere un´attività negli ospizi in quanto affetti da schizofrenia, epilessia, malattie senili, paralisi refrattaria alla terapia e altre malattie luetiche, deficienza mentale di ogni grado, encefalite e morbo di Huntington, nonché le persone ospitate da più di cinque anni e quelle condannate al manicomio criminale. Un ulteriore allegato esigeva particolareggiate informazioni sulle strutture dell´ospizio, numero dei letti, ecc., nonché sugli enti proprietari.

Evidentemente quest´ultimo quesito mirava ad accertare gli ospizi più idonei alla confisca da parte dello Stato, mentre l´intera indagine, stando alla motivazione addotta nella lettera, doveva essere inquadrata nella necessità di un piano economico dell´intero settore, partendo dall´inventario delle strutture esistenti.

Il programma elaborato non poteva prescindere dall´individuazione di un metodo di uccisione adatto alle proporzioni dell´operazione ma rispondente nello stesso tempo al concetto di una «morte pietosa». L´argomento venne affrontato nel corso di una riunione a Berlino con la partecipazione di sanitari, esperti in farmacologia e «tecnici» della centrale criminologica del Reich e, naturalmente, di Brandt. Questi perorò la causa della somministrazione di farmaci e di iniezioni suscettibili di provocare in breve tempo un decesso virtualmente indolore. Gli esperti invece sottolinearono che soltanto il ricorso al gas, in particolare al monossido di carbonio, era in grado di assicurare un esito letale tanto rapido quanto indolore. Altes Zuchthaus Brandenburg an der Havel Si convenne pertanto di effettuare un esperimento alla presenza di Brandt e parecchi altri medici, fra cui il dott. Irmfried Eberl, direttore dell´istituto di Brandenburg presso Berlino, sede della prova, ed il dott. Horst Schumann, direttore dell´ospizio di Grafeneck, nonché del maggiore di polizia Christian Wirth in rappresentanza della centrale tecnico criminologica e altri esperti. Un piccolo gruppo di infermi mentali venne trattato con le iniezioni previste, mentre un altro, ben più consistente, venne sottoposto alle esalazioni di gas, rivelatesi effettivamente più adatte allo scopo, a prescindere dal fatto che esse consentivano un uso collettivo e, quindi, un risparmio di tempo a fronte di un´utenza maggiore. Lo stesso Brandt, benché incline ai metodi tradizionalisti, non poté che constatare il soddisfacente risultato conseguito con il monossido di carbonio, raccomandando comunque che, nell´interesse della dignità della categoria, fossero i medici ad azionare la manopola del gas. Su questo punto trovò il pieno appoggio degli interessati, peraltro in uno spirito di fattiva collaborazione con i «tecnici». Il ricorso ai farmaci ed alle iniezioni, nei dosaggi appropriati, venne limitato all´eutanasia infantile.

L´esperimento di Brandenburg apriva in Germania l´era delle camere a gas, uno strumento di morte di massa che si fuse con i lager per rendere possibile il primo genocidio della storia condotto con metodi industriali. In questa luce può apparire paradossale la reazione negativa nel 1940 delle autorità per l´inclusione di un mezzosangue ebreo fra le vittime dell´eutanasia per gli adulti. Al direttore dell´istituto, previsto come sede dell´esecuzione, venne fatto rilevare che la «morte misericordiosa» era concessa soltanto ai cittadini germanici di razza ariana; era insomma considerata un privilegio. Nel giro di due anni, quel «privilegio» diventerà invece l´indispensabile strumento dell´olocausto.

Dopo l´esperimento le conclusioni vennero messe immediatamente in atto. Una funzione pionieristica al riguardo venne affidata al castello di Grafeneck, sede di un ospizio per storpi, che era stato confiscato dal governo regionale del Württemberg nell´ottobre del 1939. Dopo che i 110 ospiti e il personale erano stati fatti sgomberare, l´istituto venne visitato da una commissione proveniente da Berlino e guidata dal vice di Bouhler, Brack, nonché dal «superperito» dott. Heyde. Si trattava di preparare la ristrutturazione dell´edificio principale e delle «dependances» al fine di rendere agibile il complesso per il suo nuovo uso.

Grafeneck, Gaskammer Naturalmente quest´ultimo non poteva essere reso di pubblica ragione, e d´altro canto bisognava giustificare lo stretto isolamento che appariva indispensabile. Nell´occasione della visita venne perciò lasciato cadere qualche vago accenno sull´istituzione di un lazzaretto di isolamento per malati contagiosi gravi, con relativa recinzione dell´intero appezzamento e vigilanza degli accessi.

In realtà, la scelta di Grafeneck aveva privilegiato la sua posizione fuori mano e il vasto terreno che circondava il castello. I lavori procedettero speditamente, come del resto negli altri ospizi designati a fungere da motori dell´eutanasia. Ai primi di gennaio arrivò il personale arruolato da Berlino con contratti particolarmente vantaggiosi in riconoscimento delle prestazioni richieste e dell´impegno a tenere la bocca chiusa al riguardo. E già nel corso dello stesso mese di gennaio comincio il «lavoro» con i primi carichi di pazienti trasportati sul posto dagli autobus grigi della «GeKraT» (l´associazione di «pubblica utilità» creata espressamente nell´ambito dell´operazione) provenienti dal parco macchine usato dell´amministrazione postale. I nuovi arrivati venivano presi in consegna dal personale e quindi, dopo esser stati spogliati, fotografati, pesati e misurati in altezza, passavano alla visita medica decisiva, per lo più molto sommaria. Rarissimi erano i casi in cui il risultato della visita si poneva in contrasto con le «perizie» precedenti; i pochi che si salvavano venivano riportati agli istituti di provenienza.

L´organizzazione era curata in modo che il soggiorno dei pazienti non si protraesse al di là dello stretto necessario, di solito poche ore. Gli «scartati», con il pretesto della necessità di un bagno, venivano guidati ad un locale che aveva tutte le apparenze di una sala di docce mentre in realtà si trattava di una camera a gas. Gli agitati venivano sedati con un´iniezione. Prima della visita, gli infermieri, allo scopo di evitare possibili scambi di persona, dovevano contrassegnare le vittime sul petto con un numero progressivo e, se portatori di denti o protesi dentarie in oro, con una croce sulla schiena, in vista del recupero ad opera del personale addetto alla cremazione nei forni espressamente costruiti per il completamento dell´opera.

GeKraT vor dem Wirtschaftsgebäude in Grafeneck 1940. Die Gemeinnützige Krankentransportgesellschaft m. b. H. (kurz: Gekrat bzw. GeKraT) war ein Tarnname für die Unterabteilung der Zentraldienststelle T4, welche im nationalsozialistischen Deutschen Reich für den Transport von kranken und behinderten Menschen verantwortlich war, die im Rahmen der nationalsozialistischen «Rassenhygiene» ermordet wurden (Aktion T4). Jede Verbindung zur Kanzlei des Führers sollte verschleiert werden. L´arrivo alla stazione di Marbach, presso Grafeneck, di un treno con 350-400 pazienti destinati alla «disinfestazione» (un altro termine usato dai nazisti per gli omicidi) mise in crisi l´istituto tanto che il suo dirigente, il dott. Schumann, ebbe a lamentarsi per l´eccesso di lavoro e relativi intoppi determinati dal superamento del potenziale di smaltimento della struttura. Inoltre fece presente che un afflusso del genere di persone che dovevano essere trasferite sugli autobus della «GeKraT» per il tragitto dalla stazione alla sede delle esecuzioni non aveva mancato di suscitare curiosità ed allarme fra i valligiani, per quanto si fosse cercato di allontanare con la forza i curiosi dalla stazione. Ci vollero circa dieci ore prima che il trasbordo dal treno negli autobus e il relativo viaggio sino a Grafeneck venissero portati a termine. All´interno dell´ospizio, camere a gas e forni crematori vennero sfruttati al massimo delle capacità ma ciononostante si ebbero a lamentare sgradevoli intasamenti. Quanto ai sanitari adibiti alla visita, quest´ultima si risolveva in un´occhiata ai formulari riempiti e al paziente interessato, alla ricerca di una plausibile, anche se falsa, causale dell´imminente decesso, da addurre nel certificato di morte.

In realtà l´operazione, sia nella fase iniziale dell´eutanasia infantile che nel suo successivo passaggio a quella degli adulti sotto l´egida della «T 4», era stata organizzata con grande cura in tutti i dettagli, assumendo la portata di un complotto di stato inteso a celare alla popolazione il massacro in corso. Si partiva dai pretesti addotti per la registrazione tramite i formulari, che in realtà mirava all´individuazione delle vittime, lo stesso scopo perseguito dal sistema di visite e perizie mediche escogitato. Al servizio dell´eliminazione fisica dei pazienti era stata creata una rete di terminali articolati per aree geografiche e di istituti di tappa. Questi ultimi non servivano soltanto ad agevolare il trasferimento dei ricoverati evitando loro viaggi troppo lunghi ma altresì a fornire la copertura per i falsi documenti anagrafici contemplati. Per evitare che ai congiunti degli uccisi pervenissero centinaia di certificati mortuari, tutti recanti come luogo del decesso quello dell´istituto adibito alle esecuzioni, erano stati infatti creati uffici anagrafici distaccati presso gli ospizi di transito. Con il ricorso ad un duplice falso, questi ultimi venivano indicati nei certificati come luogo di morte mentre la causale era il frutto della fantasia di medici senza scrupoli che non firmavano con nome e cognome ma con uno scarabocchio illeggibile o con nomi inventati.

Grafeneck 1940. Beileidsbrief mit gefälschter Todesurkunde. Questa ignobile messinscena architettata dall´alto si completava con le cosiddette «lettere consolatorie» redatte secondo un cliché in cui gli assassini od i loro complici esprimevano ai congiunti delle vittime le condoglianze per il triste evento che tuttavia - si aggiungeva - era intervenuto a liberare l´infermo dalle sue sofferenze. Le «lettere di consolazione», che seguivano uno schema prefissato sia pure con le opportune varianti, concludevano informando che le autorità sanitarie avevano disposto la cremazione della salma e che, dietro richiesta, si sarebbe provveduto all´invio delle ceneri. Naturalmente - ma questo i parenti non potevano saperlo - non si sarebbe trattato delle ceneri del loro caro bensì di quelle provenienti genericamente dalla cremazione di diverse vittime, perché altrimenti il personale addetto ai forni sarebbe stato oberato di lavoro.

Benché tutta questa messinscena coinvolgesse molte migliaia di persone, dai vertici del regime e dalle autorità regionali fino all´ultimo fuochista degli stabilimenti di morte, gli organizzatori ritenevano fondate le speranze, imperniate sulla rigorosa tutela del «segreto di stato», sul successo dell´ignobile macchinazione volta a celare alla popolazione il massacro in atto. Anche se tutti i complici si guardarono bene dal disobbedire alla consegna, in considerazione delle draconiane pene previste per i trasgressori, la cortina di silenzio che doveva avvolgere questa strage di stato venne ben presto a cadere a causa di una serie di smagliature della tela di ragno tessuta dai promotori.

Una prima falla nel dispositivo di sicurezza si aprì del tutto casualmente nel gennaio 1940, mentre era ancora in corso la ristrutturazione dell´istituto di Grafeneck allorché un autocarro diretto a quella struttura rimase bloccato dalla neve alta nel vicino villaggio. Il conducente, dopo inutili sforzi per ripartire, chiese ad un passante di indicargli una cabina telefonica e quindi si allontanò. Il passante, incuriosito, sollevò il tendone del carico. Rimase non poco sorpreso nell´accertare, sulla scorta delle sue conoscenze, che il carico stesso era costituito da parti di un forno crematorio. Ne parlò con i paesani, che avevano avuto modo di notare una serie di lavori portati a termine nell´area del castello. Erano state elevate alte palizzate per impedire la vista da alcune colline circostanti, poi erano sorti reticolati attorno alla recinzione; gli accessi, sorvegliati da persone armate, erano inibiti al pubblico a causa del pericolo di contagio segnalato da vistosi cartelli. Il personale interno evitava i contatti con la gente del paese; i rifornimenti per l´istituto venivano acquistati nelle vicine cittadine.

In teoria il forno trasportato al castello poteva rientrare nella versione che si tendeva ad accreditare, secondo cui il castello avrebbe dovuto ospitare malati gravi affetti da morbi contagiosi, trasportati sul posto dagli autobus della «GeKraT». Die Gemeinnützige Krankentransportgesellschaft m. b. H. (kurz: Gekrat bzw. GeKraT) war ein Tarnname für die Unterabteilung der Zentraldienststelle T4, welche im nationalsozialistischen Deutschen Reich für den Transport von kranken und behinderten Menschen verantwortlich war, die im Rahmen der nationalsozialistischen «Rassenhygiene» ermordet wurden (Aktion T4). Jede Verbindung zur Kanzlei des Führers sollte verschleiert werden. I continui viaggi degli autobus, già della Reichspost, l´amministrazione postale germanica, suscitavano però una certa perplessità. Questa sensazione si intensificò allorché dai camini dell´ospedale «per contagiosi» cominciarono a scaturire, giorno dopo giorno, dense volute di un fumo acre e portatore di nauseante olezzo. Un paesano raccontò di aver incontrato in città il padre di un ragazzo subnormale, che gli aveva riferito dell´inatteso trasferimento del figlio e poi, a breve scadenza, dell´annuncio della morte di questi inoltrato da un ufficio postale vicino a Grafeneck. Il velo di mistero cominciò pertanto a sollevarsi, tanto più che nel frattempo si diffondevano le notizie su certe incongruenze dei certificati di morte, ad esempio quando il medico competente, evidentemente alla ricerca di formule più fantasiose del collasso cardiocircolatorio o della polmonite, addusse come causa del decesso un´appendicite fulminante, non essendo a conoscenza che nel caso in questione l´appendice era già stata asportata in età giovanile. Un altro certificato di morte si riferiva ai persistenti dolori lombari che da tempo affliggevano la paziente, la quale in realtà, visitata pochi giorni prima dai parenti, era risultata in buona salute. Una donna che aveva chiesto l´inoltro di un´urna con le ceneri della congiunta se ne vide arrivare due. Una signora, informata per lettera del decesso della sorella ricoverata in un istituto, si precipitò sul posto per trovarla a letto ma in discreta salute; gli addetti alla bisogna, oberati di lavoro, avevano anticipato di un paio di giorni l´invio di un pacco di comunicazioni mortuarie senza tener conto della possibilità dell´immediata partenza di una destinataria delle «lettere consolatorie». Ufficialmente ci si limitò a motivare l´accaduto con uno scambio di persona. Ancora, ci fu chi ricevette pressoché contemporaneamente l´annuncio di morte di due sorelle con notevole distacco di età l´una dall´altra, inoltrato da due diversi istituti della stessa regione. In generale, nonostante la ripartizione in vari uffici anagrafici dei mittenti delle missive listate a lutto, l´aumento dei casi di morte non poteva alla lunga passare inosservato, benché i promotori dell´eutanasia avessero pensato a tutto. Ad esempio, per evitare che il numero dei decessi potesse essere ricostruito sulla base dei registri anagrafici, gli uffici creati ad arte non partivano nella registrazione dal numero uno bensì da un numero scelto arbitrariamente. Ma la verità cominciò a farsi strada anche sui giornali, naturalmente non sotto forma di notizie dato che la stampa era imbavagliata, bensì in forma di necrologi fatti stampare dai parenti delle vittime. Spesso venivano impiegati termini come «l´improvvisa scomparsa», «l´inattesa notizia del decesso» e simili formulazioni che lasciavano trasparire l´incredulità degli interessati di fronte alle versioni e alle condoglianze ufficiali. I direttori dei giornali della zona colpita dell´«epidemia» vennero invitati dal partito, posto in allarme dal moltiplicarsi dei necrologi del genere, a censurare d´autorità tutti gli accenni all´imprevedibilità dei luttuosi eventi. Ma la sensazione di disagio e di preoccupazione della popolazione non poteva che accentuarsi di fronte al manifesto imbarazzo delle autorità e finì per investire l´apparato sanitario, gli organi della giustizia e, naturalmente, il partito. Qua e la i magistrati vennero sollecitati ad intervenire da cittadini convinti che spettasse alla giustizia fare luce. Ci fu qualche magistrato coraggioso che effettivamente entrò in azione, ma la sua azione venne bloccata ad alto livello. Intanto a Grafeneck i contadini occupati nei lavori agricoli nei campi avevano preso l´abitudine di togliersi il berretto al passaggio degli autobus grigi con il loro carico di infelici condannati a morte. Il fitto riserbo che doveva circondare l´operazione era ormai diventato un segreto di Pulcinella mentre l´inquietudine generale cresceva. Ormai ci si era resi conto che, oltre agli ospiti degli istituti, l´intera popolazione era vittima di un infame congiura del silenzio che univa i responsabili ed i complici delle uccisioni. Ci si era resi conto che le persone colpite non erano soltanto gli idioti, deficienti mentali, handicappati, schizofrenici, epilettici, distrofici eccetera ma anche quelle affette da malattie senili; venivano «liquidate» anche persone affette da cancro e tubercolosi oltreché da arteriosclerosi, morbo di Alzheimer, ecc. Si parlava anche di invalidi della prima guerra mondiale e di invalidi del lavoro, considerati anch´essi «commensali inutili» perché diventati improduttivi alla stregua delle cosiddette «esistenze zavorra» denunciate dal regime per il loro costo particolarmente gravoso in una situazione di emergenza bellica. Ora che la scure si abbatteva non solo sui neonati e sui ragazzi più sventurati ma anche sugli anziani al termine del loro ciclo produttivo, si incominciava a scoprire il volto disumano del nazismo. Non pochi si aggrappavano al culto della personalità di cui erano imbevuti per sostenere che Hitler non poteva essere al corrente degli orrori dell´eutanasia, la cui responsabilità veniva fatta ricadere sugli alti gerarchi di mezza tacca che circondavano il dittatore. Lo stesso partito era scosso man mano che le notizie sulla moria cominciavano a trapelare anche dagli altri istituti preposti alle esecuzioni nelle rispettive aree di influenza, come Berlino, Magdeburgo, Linz, Hof e Limburgo. Ad Erlangen l´indignazione popolare si spinse ai limiti di un´aperta dimostrazione contro il regime allorché i pazienti di un ospizio vicino vennero fatti affluire nella cittadina per una visita medica. Un rapporto di polizia sull´accaduto riferiva che tra la folla presente all´arrivo si erano uditi non pochi commenti ostili al partito, pronunciati da persone che non era stato possibile identificare perché i testimoni interpellati, fra cui anche alcuni iscritti alla NSDAP, si erano dimostrati reticenti. Aveva incontrato indignato consenso, secondo il rapporto, anche l´insinuazione di qualcuno secondo cui lo stato doveva navigare in ben brutte acque se c´era bisogno di «ammazzare dei poveri diavoli» perché i soldi destinati alla loro assistenza erano necessari per continuare la guerra.

I circoli responsabili del partito non mancarono di avvertire il diffondersi di una malcelata ostilità nei loro confronti, come testimonia la pubblicazione di una lettera della suprema dirigente dell´organizzazione femminile della NSDAP, Else von Löwis, al capo delle SS Himmler, nella quale si sottolineava come ormai tutti erano a conoscenza dell´eutanasia in atto a Grafeneck, pur senza conoscerne le proporzioni e le modalità. Non ci si è resi conto - essa scriveva - dell´orrore che ciò suscita nel popolo e della spaventosa fama acquisita da Grafeneck. Si può essere di varia opinione sul diritto dell´uomo a decidere sulla vita e sulla morte del suo simile - osservava poi - ma questo diritto deve essere chiaramente definito in via legislativa ed esercitato con la massima coscienziosità per non spianare la via alle più pericolose passioni ed al crimine, tanto più che un metodo usato da tempi immemorabili per sbarazzarsi di un congiunto scomodo consiste nel dichiararlo pazzo. Non sono colpiti soltanto i malati di mente irrecuperabili - proseguiva la lettera - ma anche gli epilettici, che infermi mentali non sono, e che prendono parte alla vita della comunità svolgendo un loro lavoro; persone consapevoli del significato dell´arrivo degli autobus grigi e del fatto che i camini dell´istituto fumano notte e giorno. Tutto ciò è un incubo ed è materia di propaganda per le Chiese. Si spera che Hitler non sia a conoscenza di ciò, perché altrimenti agirebbe per impedirlo. In ogni caso egli certamente non conosce le proporzioni degli eventi. Ma se l´attuale stato di cose dovesse continuare, anche questa fiducia verrebbe meno, concludeva lo scritto.

Il marito della scrivente, un alto magistrato nell´ambito del partito, inoltrò la lettera a Himmler facendosi garante della fede nazista della consorte, comprovata del resto dalla carica da lei rivestita, non senza esaltarne la «bellezza ariana». A suo avviso, era innegabile che si era verificato qualcosa di sbagliato e di nocivo per il movimento. «Se si devono fare certe cose per conquistare la vita eterna alla Germania, concludeva testualmente il giudice, devono essere compiute in modo che restino veramente nascoste.» Himmler replicò chiamando fuori causa le SS, le quali si sarebbero limitate a prestare assistenza mentre le decisioni erano riservate ai medici competenti. Ammise ad ogni modo l´esistenza di errori nell´esecuzione, che presentava peraltro delle difficoltà. Concludeva informando di voler rivolgersi all´organismo competente per renderlo edotto di tali errori e per consigliarlo di mettere a riposo Grafeneck. L´accenno alla responsabilità dei medici si può considerare una stilettata all´indirizzo di Brandt, investito direttamente da Hitler dell´organizzazione dell´eutanasia per la parte sanitaria. Lo stesso Brandt era generale delle SS, e quindi un superiore di Himmler al quale i capi della Wehrmacht avevano sempre negato l´attribuzione del grado. Il comandante delle SS se l´era legata al dito. Soltanto più tardi, in occasione del fallito complotto del 20 luglio 1944, infatti, potrà celebrare la sua rivincita sui generali della Wehrmacht, per i quali Hitler era sempre il «caporale di Braunau» (questo era il grado da lui ricoperto nella prima guerra mondiale) e Himmler soltanto il caporione dei pretoriani.

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