Dalla strage dei minorati all´olocausto
La «lettera delle camere a gas»

L´eutanasia, nella versione praticata in sei ospizi del Reich a spese dapprima dei minorati psico-fisici e poi dei malati e invalidi detenuti nei campi di concentramento, si era posta in linea di principio al servizio dell´annullamento delle esistenze prive di valore. La definizione di questa categoria spettava alle autorità ed era pertanto elastica, ciò che consentiva l´intervento dell´organizzazione preposta alla «morte misericordiosa» al di fuori dell´area di sua stretta competenza ma nell´ambito delle direttive indicate dal regime in quanto di preminente interesse nazionale. Non può pertanto sorprendere che la «T 4», pur limitata nella sua operatività al territorio del Reich, abbia messo a disposizione della «soluzione finale» i propri uomini ed i propri mezzi nonché le esperienze acquisite in materia di strutture di sterminio. Ne è prova la bozza di una lettera del 25 ottobre 1941 a firma del referente presso il ministro per i territori occupati Rosenberg, dott. Ernst Wetzel, al «Reichskommissar» Lohse di Riga. Il documento, noto come «lettera delle camere a gas», è del seguente tenore: Il signor Viktor Brack, «Oberdienstleiter» (caposervizio principale) nella Cancelleria del Führer, è pronto a collaborare all´installazione degli impianti e delle apparecchiature per l´erogazione del gas che saranno necessarie. Attualmente le apparecchiature in questione non sono disponibili in quantità sufficienti e debbono essere fabbricate. Poiché, secondo il sig. Brack, la fabbricazione crea problemi più complessi nel Reich che non sul posto, egli ritiene senz´altro preferibile inviare a Riga il suo personale specializzato, e in particolare il suo chimico, dott. Kallmeyer, che provvederà a tutto. L´«Oberdienstleiter» Brack fa osservare ... che il procedimento non è senza pericoli per cui saranno necessarie particolari misure protettive. Stando così le cose, La prego di mettersi in collegamento con l´«Oberdienstleiter» Brack ... tramite il Suo comandante in capo della SS e della polizia e di chiedergli di inviare il suo chimico dott. Kallmeyer e relativi aiutanti. Mi permetto di rilevare che lo «Sturmbannführer» delle SS Eichmann, referente per i problemi ebraici nel RSHA (l´ufficio centrale di sicurezza del Reich) è d´accordo. Secondo comunicazioni di Eichmann, a Minsk e a Riga saranno creati dei Lager per ebrei, nei quali potranno essere eventualmente ammessi anche ebrei provenienti dal territorio del Reich. Attualmente, da tale territorio si stanno evacuando degli ebrei, che dovrebbero essere trasferiti a Litzmannstadt (Lodz) ed in altri campi per essere poi, secondo la loro idoneità al lavoro, impiegati nei territori orientali.

Allo stato delle cose, non è il caso di farsi eccessivi scrupoli se gli ebrei non idonei al lavoro dovranno essere eliminati con i metodi del sig. Brack. In tal modo si dovrebbe evitare il ripetersi difatti come quelli verificatisi a Vilna ... durante le fucilazioni di ebrei; fucilazioni che, anche per il fatto di essere state compiute in pubblico, non possono essere approvate. Invece gli ebrei idonei al lavoro saranno trasportati all´Est per essere immessi nelle organizzazioni di lavoro. Naturalmente, fra questi ultimi, si dovrà aver cura che gli uomini siano separati dalle donne. Viktor Brack era il dirigente dell´ufficio di collegamento di Bouhler, capo della Cancelleria del Führer e da questo incaricato, assieme al dott. Karl Brandt, di dirigere l´operazione eutanasia, con la «T 4», la centrale operativa della selezione delle vittime. Si trattava dunque di un personaggio di primo piano della macchina di morte messa in piedi dal regime, praticamente il numero due rispetto a Bouhler, cui era riservata la supervisione dell´assieme ed al quale si deve l´idea di mascherare le camere a gas come stanze da bagno, con sedili e finte docce.

Dalla lettera risulta che Brack, quale «esperto», suggeriva la fabbricazione sul posto, con l´intervento di un chimico e di altri suoi aiutanti, delle apparecchiature di gassazione da usare, «senza farsi troppi scrupoli», come rilevato nel documento, nei confronti degli ebrei inabili al lavoro. Non va dimenticato che nell´ottobre 1941, data della lettera, gli impianti operanti in Germania si potevano contare sulle dita di una mano per cui effettivamente era più ragionevole puntare ad una realizzazione sul posto, avvalendosi delle conoscenze dei tecnici e del personale della «T 4» inviati in missione in Polonia.

Effettivamente la «soluzione finale» sarebbe stata irrealizzabile senza le «docce al monossido di carbonio» brevettate a Grafeneck, Hadamar e negli altri istituti di morte, successivamente perfezionate ed adattate alle accresciute esigenze delle esecuzioni di massa, con il loro corollario dei forni crematori. Sul piano organizzativo non c´è dubbio che Himmler e Heydrich fornirono prova della loro indiscutibile capacità, a partire dal settore dei trasporti e da quello della dislocazione degli impianti fissi di gassazione. Questi ultimi operavano soltanto in un numero ristretto di Lager strategicamente ripartiti nel territorio polacco in modo da poter ricoprire, con il loro potenziale, l´intero territorio. Come per gli ospizi di morte in Germania, esistevano bacini di affluenza delimitati, peraltro non vincolati a criteri prettamente geografici bensì in base alla preordinata ripartizione della popolazione ebraica in scaglioni, secondo la loro provenienza. D´altro canto, i Lager diversi da quelli terminali non dovevano limitarsi a fungere da centri di transito, come gli istituti prescelti in Germania quali sedi di tappa dotati di uffici anagrafici di comodo. Al contrario, essi potevano validamente collaborare al compito comune in virtù delle camere a gas mobili adatte, grazie a tale caratteristica, a fronteggiare eventuali ingorghi alle stazioni terminali. Furono gli impianti mobili, almeno in un primo tempo, assieme ai forni di cremazione, a garantire l´adempimento dei piani di annientamento prefissati. Le SS ebbero carta bianca e non dovettero fare i conti con la «limitatezza di orizzonti» della popolazione tedesca, secondo le critiche espresse da Himmler in occasione delle polemiche suscitate dall´operazione eutanasica in Germania.

Con l´avvento della tecnologia nei KZ non bisogna pensare che le esecuzioni singole fossero state bandite; al contrario esse rimasero in auge nei Lager secondari ma anche in quelli principali, come valvola di sfogo per gli aguzzini che potevano così sbizzarrirsi.

Di un incidente di percorso durante una di queste esecuzioni singole alle quali i comandanti dei campi talvolta presenziavano, si ha notizia da una testimonianza scritta, riferita da Eugen Kogon. Auschwitz era dotata di quattro immensi forni crematori con una capienza di 1200-1500 salme, oltre ad un crematorio costituito da una fornace ardente. I condannati, nudi, venivano costretti a prendere posizione sull´orlo della fossa e poi giustiziati a colpi di pistola dalla SS in maniera che i cadaveri, ovvero i feriti, precipitassero nella fornace. Una ballerina italiana venne costretta, in occasione di un´esecuzione del genere, ad esibirsi davanti alla fossa dal sottufficiale Schellinger. Durante la danza la donna, avvicinatasi all´aguzzino, riuscì con mossa fulminea a strappargli la pistola e a fare fuoco, uccidendolo. Venne a sua volta crivellata di colpi dagli altri militi presenti, ma cadde con l´arma in pugno, dopo essersi vendicata del sottufficiale.

Per quanto riguarda le esecuzioni in massa, le SS amavano seguire un rituale da tempo collaudato. All´arrivo a destinazione, le vittime venivano apostrofate da qualche ufficiale che faceva loro credere di trovarsi in un campo di sosta prima della definitiva sistemazione in un Lager regolare di lavoro assieme ai loro familiari. In attesa di un caffè caldo ristoratore, era prevista una doccia calda mentre i loro abiti venivano disinfestati. Questo annuncio dato ad una massa di persone stremate dal tremendo viaggio e in preda all´angoscia per la loro sorte, ma animate dalla fiducia nella parola dei militari germanici, alle volte provocava un applauso all´indirizzo degli sgherri, che si mostravano allegri e compiaciuti soprattutto quando scortavano le vittime lungo quella che essi chiamavano la «via del cielo», e cioè il passaggio dalla baracca usata per la svestizione alla camera di gassazione.

Nell´autunno 1942, quando la carneficina era al suo culmine, questa infame sceneggiata era divenuta ormai un cliché. In precedenza il quadro era completamente diverso, secondo una testimonianza relativa ad un convoglio di deportati proveniente da Lemberg. All´arrivo alla stazione, dopo l´apertura delle porte dei vagoni bestiame le salme di coloro che non erano sopravvissuti venivano buttate sulla pensilina e da qui caricate su autocarri, mentre un reparto di ausiliari ucraini al servizio dei tedeschi si accaniva a frustate contro i superstiti per farli incolonnare verso la «disinfestazione» finale. Su questa umanità dolente e sull´intero Lager gravava, sinistro e premonitore, l´ammorbante fetore della morte. Urla, maledizioni e lamenti venivano dalla massa delle vittime, ridotte al silenzio dalle fruste degli aguzzini. Prima ancora che fossero messe in funzione le finte docce, si erano verificati episodi in cui le SS e gli ausiliari, fatti scendere i passeggeri sulla pensilina, si erano divertite ad aprire un fuoco concentrico su di loro fino a completare l´eccidio.

Christian Wirth Questi quadri di orrore appartenevano ad un passato sia pure recente grazie al mutamento della regia, passata nelle mani di un esperto già collaudato dall´operazione eutanasia: il maggiore di polizia Christian Wirth, noto anche come l´uomo dei vasi di fiori davanti alle baracche con le camere a gas. Costui era stato fra i presenti alla prova inaugurale di questo nuovo strumento di morte svoltasi a Brandenburg nel gennaio 1940 allorché l´esperimento condotto sotto la guida del medico di Hitler Brandt ne rivelò la superiorità sui medicinali usati come veleni. A quale titolo Wirth figurasse tra gli spettatori non è stato precisato, ma è probabile che fosse stato inviato sul posto dall´istituto tecnico-criminologico della polizia diretto, per la sezione chimica, dal dott. Widmann. Costui negò recisamente, alla fine della guerra; la paternità delle «Gaskammern», che comunque furono certamente una creazione dell´istituto.

Fatto è che Wirth fece una rapida carriera tanto che nell´aprile 1941 era già direttore dell´istituto di Hartheim presso Linz con il compito di preparare l´entrata in attività di questa succursale dell´eutanasia. In un suo discorso agli addetti, enunciò la sua teoria sul lavoro da compiere con la formula «Noi vogliamo gente sana», sottolineando che i malati di mente costituivano un pesante onere per la Germania. Qualche mese dopo, ebbe a precisare ad un visitatore occasionale che gli aveva chiesto il numero dei posti letto dell´istituto di cura e assistenza da lui diretto: «Qui non abbiamo malati, abbiamo soltanto morti». Nel giro di un anno Wirth passò al comando di uno dei maggiori campi di sterminio, quello di Belzec, ove dette immediatamente prova delle sue capacità manageriali. Lo svolgimento del compito assegnato al KZ, spiegò agli aiutanti, esigeva sul piano interno un´organizzazione agile, capace di imprimere la velocità necessaria alle operazioni, e sul piano esterno un disbrigo flessibile atto ad evitare tentativi di fuga, resistenze ed attriti. In sostanza, gli ebrei, alla cui eliminazione era votato il Lager, non dovevano accorgersi di nulla, confidando nella versione loro fornita dagli aguzzini. Qualsiasi brutalità o scorrettezza avrebbe potuto provocare contraccolpi sul ritmo del «lavoro», a giudizio di Wirth, secondo cui soltanto una buona collaborazione fra le vittime ed i carnefici era in grado di garantire il raggiungimento in tempi brevi del massimo potenziale distruttivo della struttura. Sul piano pratico, il comandante si pronunciò a favore dell´abbinamento dell´impianto fisso a gas con le camere mobili, queste ultime peraltro a gas di scarico, dato che benzina e diesel erano di facile acquisizione in confronto al monossido di carbonio, soggetto a difficoltà di rifornimento. Analogamente egli si disse contrario al ricorso all´impiego di «Zyklon B», il disinfestante a base di acido prussico appoggiato dagli «innovatori», appunto perché, trattandosi di un prodotto proveniente da ditte private, il trasporto su lunghe tratte poteva rivelarsi problematico.

L´adozione del metodo, che potremmo definire «soft», escogitato da Wirth nello svolgimento della sua «missione», era finalizzata esclusivamente al risparmio di tempo, senza essere influenzata da considerazioni di tipo umanitario, alle quali il personaggio era del tutto estraneo. Un teste oculare ha riferito al riguardo di una «dimostrazione» di Wirth riguardante l´uccisione di numerosi uomini con le esalazioni di scarico di un potente motore Diesel. Wirth raccomandò ai suoi militi di «comprimere per bene» le vittime in modo da sfruttare al massimo lo spazio, prima di accendere il motore. L´ordine venne fedelmente eseguito al punto che, quando le porte furono alla fine riaperte, i cadaveri all´interno non caddero perché formavano una massa umana compatta. A scioglierla furono impegnati i componenti del «reparto speciale ebraico» creato in tutti i KZ e adibito alla pulizia delle camere a gas e dei rimorchi usati nonché al trasporto delle salme. L´impassibile Wirth mostrò orgoglioso, al termine della dimostrazione, un barattolo di conserva nel quale erano stati deposti denti e dentiere placcati in oro e recuperati dalle salme, invitando gli spettatori a soppesarlo sul palmo della mano per rendersi conto del peso, e quindi del valore, del bottino.

Christian Wirth, soprannominato dai suoi colleghi «der wilde Christian» (cioè il «Cristiano selvaggio»), non era un nazista fanatico. Freddo e distaccato in generale, era però aperto ad ogni mutamento o innovazione suscettibile di agevolare l´esecuzione del compito affidatogli. Era insomma un «tecnocrate» al servizio di una macchina di potere più che di un´ideologia e soprattutto ligio al suo dovere pur non mancando di una certa genialità nel suo campo, che doveva fargli raggiungere la carica di ispettore generale di tutti i KZ.

Un altro reduce dell´operazione eutanasica, il dott. Irmfried Eberl, già direttore degli istituti di morte di Brandenburg e di Bernburg e che, in riconoscimento dell´impegno dimostrato, era stato designato a dirigere il campo di sterminio di Treblinka, fu protagonista invece di un naufragio totale. Animato da uno zelo fanatico, impresse al «lavoro» un ritmo insostenibile al punto che il Lager finì per traboccare, per così dire, di cadaveri in putrefazione in attesa della cremazione. Naturalmente venne destituito per incapacità dall´incarico, che aveva accettato qualche mese prima con entusiasmo come risultava dalle lettere alla moglie in cui definiva «estremamente interessante» il compito affidatogli, anche se per assolverlo degnamente non apparivano sufficienti, a suo avviso, le ventiquattro ore della giornata. Nel suo caso, la fede in Hitler e nel nazismo non era servita a garantirgli la prosecuzione di una carriera brillantemente avviata.

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