Le chiese a rimorchio dell´opinione pubblica

L´eutanasia infantile non aveva provocato reazioni negative degne di nota da parte dell´opinione pubblica anche perché, nella sua prima fase, le notizie trapelavano con molta difficoltà, ma anche e soprattutto perché vi era coinvolta un´esigua percentuale della popolazione. Quando invece furono presi di mira gli adulti e gli anziani, la reazione fu altamente emotiva giacché ci si rendeva conto che l´area di applicazione poteva estendersi ad ogni famiglia e ad ogni adulto, in particolare a quelli di età avanzata soggetti alle malattie senili. Particolare indignazione aveva suscitato, non solo nella cerchia nazionalista, la notizia circa la liquidazione di invalidi e di ex combattenti della prima guerra mondiale. Le proteste erano rivolte contro le autorità e il partito dopo che si era fatto strada il convincimento che il silenzio delle fonti ufficiali rivelava l´imbarazzo di chi viene colto in flagrante mentre compie un´azione criminosa che intendeva occultare.

La dirigente dell´organizzazione delle donne nazionalsocialiste Else von Löwis, nel lamentare questo colpevole silenzio, aveva espresso il timore che la situazione favorisse la propaganda delle Chiese. In realtà queste ultime si mossero tardi, praticamente a rimorchio dell´opinione pubblica anziché, come sarebbe stato lecito attendersi, alla sua guida quali tutori dell´etica religiosa. Eppure gli ospizi, anche quelli a conduzione religiosa, erano stati i primi a confrontarsi direttamente con i formulari destinati a costituire la base dei trasferimenti dei ricoverati e, successivamente, della loro eliminazione, con una logica concatenazione che non poteva sfuggire ai dirigenti degli istituti. E lecito perciò ritenere che costoro avessero informato tempestivamente l´alto clero, indotto tuttavia a procedere con i piedi di piombo dalla consapevolezza della portata esplosiva di indiscrezioni sui massacri dei minorati e dei malati colpiti dall´eutanasia. In un primo tempo, esponenti delle due Chiese si limitarono a cauti sondaggi presso gli organi governativi, con i protestanti orientati in senso possibilista ed i cattolici impegnati a favore dell´assistenza spirituale alle vittime, cioè su un fronte secondario rispetto alla sostanza del problema. Il vescovo Wienken, delegato della conferenza episcopale per trattative con esponenti dell´organizzazione eutanasica come Brack e Linden, nell´avanzare la proposta di un memoriale sull´argomento suggerì di affidarne la stesura al noto teologo prof. Mayer, lo stesso al quale si era rivolta la cancelleria del Führer per una perizia sull´atteggiamento della Chiesa cattolica in merito alla «morte misericordiosa». Il Card. Faulhaber, arcivescovo di Monaco, respinse la proposta confermando la validità della richiesta dell´assistenza religiosa per i malati di mente condannati. Non mancò di polemizzare con le autorità che insinuavano che la propaganda religiosa fosse all´origine del turbamento dell´opinione pubblica e che attribuivano ai congiunti dei malati un atteggiamento in grande maggioranza favorevole all´eutanasia, ciò che suonava oltraggioso per i sentimenti della popolazione. Quest´ultima ha tutto il diritto di sapere se i vescovi accettano in silenzio misure che minano il fondamento di ogni ordine costituito e di ogni morale, aggiungeva il cardinale, che peraltro cominciava a rendersi conto che la controparte interpretava l´istanza per il sacramento degli infermi e, in questo contesto, per un trattamento particolare a favore dei sacerdoti, come una tacita accettazione dello stato di fatto. Intervenne a questo punto il Sant´Uffizio con una condanna inequivocabile delle uccisioni in atto.

Non vi furono approcci a sondaggi di sorta fra le due Chiese in vista, se non di un fronte comune, di un´intesa di principio suscettibile di conferire maggiore vigore alla comune interpretazione negativa. La Chiesa evangelica era da tempo sottoposta alla pressione di un movimento fiancheggiatore del nazismo, i «Deutsche Christen», secondo i quali il regime rappresentava un «ordinamento voluto da Dio». Nel 1933 i «Deutsche Christen» avevano ottenuto la maggioranza alle elezioni interne della Chiesa evangelica e quindi la nomina a «Reichsbischof» di un loro esponente, Ludwig Müller. Ma nel 1934 il sinodo di Barmen reagì proclamando un´organizzazione del tutto indipendente dal potere, quella della «Bekennende Kirche», cioè la «Chiesa confessante», legittima Chiesa evangelica tedesca, che poteva contare su rappresentanti schiettamente antinazisti come i pastori Martin Niemöller e Dietrich Bonhöffer nonché sul vescovo regionale del Württemberg Wurm, che a più riprese leverà alta la sua voce contro l´ecatombe degli ebrei. Il sinodo sanzionò pertanto una ritrovata unità che non mancò di ripercuotersi anche sull´atteggiamento dei protestanti di fronte alla crisi sull´eutanasia. Nel quadro di uno sforzo inteso a cementare la coesione interna, essi ritennero infatti opportuno accentuare la loro linea di non ingerenza negli affari interni e nelle leggi dello Stato, sui dirigenti del quale «incombe la responsabilità dinanzi a Dio e alla propria coscienza», secondo l´enunciazione approvata dagli organi responsabili sulla scia della concezione luterana. La Chiesa evangelica pertanto, nel sottolineare la «pesante serietà della decisione da adottare», si limitò ad elencare alcune istanze rivolte alle autorità, fra le quali una precisa definizione delle categorie di infermi e di incurabili colpite dai provvedimenti in atto e di una normativa in grado di evitare errori, avanzando infine una rivendicazione precisa: esentare gli istituti dipendenti dalla «missione interna» (l´organizzazione parallela alla «Caritas» cattolica) dall´obbligo della stesura dei formulari ministeriali per l´identificazione dei pazienti, giacché ciò avrebbe comportato una collaborazione attiva all´eutanasia. La linea di condotta adottata, che potrebbe essere definita di «limitata non cooperazione», consentì in definitiva la salvezza di non pochi pazienti sulla base della loro capacità lavorativa in quanto valido motivo di selezione positiva. Ciò fu possibile grazie ad un negoziato talora spossante sulle caratteristiche dei singoli ricoverati e, quindi, non senza il coinvolgimento dei dirigenti di istituto e degli organi ecclesiastici nella sorte dei condannati.

Inequivocabile invece la denuncia emessa l´ 11 agosto 1940 dalla conferenza episcopale germanica di Fulda di ogni azione intesa all´annientamento delle «vite senza valore», in quanto contraria non solo alla dottrina cattolica ma anche al radicato convincimento di tutti i cristiani ed ai sani sentimenti del popolo tedesco e, in particolare, della categoria medica. Non è solo la fede in Dio quale signore della vita e della morte di ogni uomo ad essere in gioco, ma anche il bene duraturo di ogni collettività terrena che esige l´inviolabilità della vita di ogni singola persona innocente. «Non possono essere ammesse eccezioni sulla base di un´occasionale utilità - ribadivano i vescovi - perché ciò aprirebbe la porta ad altre eccezioni a danno della popolazione intera, intaccando il carattere sacro della vita di ogni individuo innocente e quindi il naturale senso morale dell´umanità e il convincimento cristiano nonché il buon nome del popolo tedesco quale popolo civilizzato». Il 22 agosto la conferenza episcopale plenaria riconferma- va la condanna e le rimostranze già mosse a Berlino in vista della cessazione delle uccisioni. Essa reclamava altresì il rispetto della volontà dei congiunti facendo divieto agli ospizi cattolici di collaborare attivamente al trasferimento dei pazienti finalizzato alla distruzione delle cosiddette «vite senza valore».

Nel novembre 1940 il Card. Bertram, presidente della conferenza episcopale, «ufficializzò» la richiesta al ministero degli interni di consentire l´assistenza religiosa ai malati e un trattamento privilegiato per i sacerdoti. Ci tenne pero a sottolineare che l´istanza non poteva assolutamente comportare il riconoscimento, da parte della Chiesa cattolica, delle misure criticate. Effettivamente l´ordinariato vescovile di Rottenburg, competente per il territorio di Grafeneck, condusse per mesi trattative volte ad ottenere la somministrazione dei sacramenti degli infermi alle vittime designate, ma la controparte tirò le cose per le lunghe finché, alla fine di dicembre, le uccisioni furono sospese. Ciò non avvenne però a causa della pioggia di proteste abbattutasi sulle autorità bensì grazie al raggiungimento degli obiettivi prefissati per quella struttura dai promotori dell´eutanasia.

Verso Grafeneck si era sviluppata intanto una specie di «turismo delle camere a gas»: una novità che attirava non pochi visitatori altolocati, come il sottosegretario agli interni. Conti e lo stesso Brandt, in onore dei quali venne portata a termine, ad illustrazione della procedura, la gassazione di un gruppo di pazienti. Pure altre personalità nonché non pochi medici coinvolti nel programma si recarono a visitare l´impianto, che nel frattempo aveva visto aumentare la capienza delle camere a gas a 75 persone, grazie all´abbattimento di un muro e alla realizzazione di una nuova sala docce finta. Era stato Bouhler ad avere la trovata di mascherare le camere a gas da stanze da bagno, con finte docce e sedili, sistema che sarà adottato anche per il mega impianto di Auschwitz, nel 1943-44. I turisti e gli «operatori» in visita a questo monumento del regime concludevano infine i loro «viaggi di studio» nelle trattorie della zona.

´Fritz´ Friedrich von Bodelschwingh jun.(1877-1946) Alla coerenza dell´atteggiamento cattolico contro l´operazione nazista fecero riscontro alcuni sbandamenti da parte evangelica, peraltro controllati e corretti ad opera soprattutto del «pastore Fritz», cioè Friedrich von Bodelschwingl, figlio di uno dei fondatori della «Chiesa confessante» e dirigente del più grande complesso della Germania di istituti di cura e assistenza, quello di Bethel presso Bielefeld, con circa tre mila pazienti, un´università e una scuola per infermieri, fondato dal padre. Dotato di grande prestigio presso le autorità anche per il suo ruolo di primo piano nell´avvio della «Chiesa confessante», si impegnò a fondo su una linea di difesa degli interessi dei suoi ricoverati, evitando tanto uno scontro frontale con il regime quanto ogni scivolamento verso forme più o meno velate di collaborazione. Questo sostanziale allineamento delle due Chiese, contrarie ad ogni contributo anche solo burocratico (con la schedatura ordinata dall´alto) alle selezioni degli infelici, mise in difficoltà le autorità. Le commissioni mediche viaggianti istituite per l´identificazione delle vittime erano in grado di operare, sostituendosi ai direttori sanitari interessati, nei piccoli e medi ospizi. Per il complesso di Bethel, il compito era più arduo mentre c´erano da considerare i contraccolpi sul piano politico. Approfittando di questa posizione di relativo privilegio, il «pastore Fritz» ed i sanitari responsabili di Bethel condussero una trattativa serrata ispirata alla tenacia ed alla perseveranza e virtualmente coronata dal successo per i loro protetti. Qualche altro istituto a conduzione evangelica ebbe peraltro successivamente a lamentarsi per l´appoggio ritenuto inadeguato della gerarchia interna. I promotori dell´operazione «morte misericordiosa», che sin dall´inizio si proponevano l´eliminazione di un certo numero di minorati in base ad un piano dettagliato, si sarebbero cioè rivalsi presso altri ospizi delle «concessioni» fatte ai dirigenti di Bethel.

Le tensioni esistenti nella Chiesa protestante si manifestarono anche al sinodo esplicitamente convocato sullo scottante tema, con lo scontro fra tre correnti. La prima sosteneva il pieno diritto dello stato di decidere la sorte dei malati, mentre un´altra propugnava al contrario una denuncia inequivocabile. Un altro gruppo, pur condividendo la tesi di una condanna, poneva in guardia contro una predicazione dal pulpito, ritenuta suscettibile di inasprire ulteriormente la situazione. Per evitare una possibile scissione, ci si accordò sull´elaborazione di un memoriale alle autorità con cui i protestanti ricompattavano le proprie file grazie alla dissociazione nei confronti dei cattolici e in particolare del Sant´Uffizio e con una cauta «avance» verso il regime. In particolare, nell´interesse dei pazienti, grazie ad una chiara indicazione delle categorie colpite, gli istituti interessati confidavano di poter partecipare alle decisioni senza dover sottoscrivere i moduli previsti. Dato che in questo modo la Chiesa finiva per essere coinvolta nell´operazione nazista, essa chiese ed ottenne che il documento stesso venisse coperto dal segreto di Stato. Questa presa di posizione, influenzata senza dubbio dal tradizionale antagonismo con il Vaticano, è stata giustificata a posteriori con considerazioni di «Realpolitik», incentrate sulla tutela dei pazienti e sull´inopportunità di un´aperta sfida al regime.

Si tratta di valutazioni opinabili, contestate da coloro che nell´atteggiamento di entrambe le Chiese - anche per quanto riguarda le persecuzioni degli ebrei e di altre minoranze nonché le stragi dei Lager - scorgono gli estremi di una diserzione dalla missione pastorale intesa a realizzare il comandamento del Vangelo «ama il prossimo tuo come te stesso» in collegamento con l´imperativo «non uccidere». A distanza di 50 anni dalla fine della guerra, Roma ha riconosciuto la gravità della colpa commessa ignorando completamente a suo tempo l´olocausto ai danni del popolo ebraico, dopo essere stato preceduto da un olocausto minore, quello degli alienati e degli handicappati psico-fisici gravi.

Per quanto concerne l´azione della «missione interna» evangelica è indubbio che il «pastore Fritz», al pari del presidente Constantin Frick e del vicepresidente Paul Gerhard Braune, prodigarono le loro energie in una interminabile serie di contatti politici in difesa dei loro protetti, sfruttando tutte le loro conoscenze. Berlino d´altro canto era consapevole della portata e dell´influenza dell´atteggiamento assunto dai capi di Bethel tanto più che il ministero degli interni raccomandava, nelle sue dettagliate istruzioni alle autorità, di evitare passi suscettibili di deteriorare i rapporti fra Stato, partito e Chiese. Così Brack e Linden, direttore della sanità al dicastero degli interni, trovarono pane per i loro denti a Bethel allorché tentarono di indurre i responsabili della struttura a collaborare all´«operazione formulari», ma senza successo. Fra i responsabili figurava lo psichiatra dott. Jaspersen che, oltre a sollecitare molti altri capi di istituto a negare la loro collaborazione, non aveva esitato, per i fatti di Grafeneck, a presentare denuncia per omicidio alla polizia e alla Gestapo, informandone anche l´Ordine dei medici. In mancanza di una legge al riguardo - aveva sottolineato egli - una collaborazione del genere equivaleva ad una complicità in omicidio. Quanto al «pastore Fritz», nel corso dei suoi contatti fra cui anche un colloquio con lo stesso Brandt, riuscì ad organizzare una linea di resistenza «morbida» grazie alla quale talune province e regioni registrarono un bilancio di vittime nettamente inferiore alle altre, mentre alcuni istituti facenti capo alla «missione interna» riuscirono a salvare «in toto» i loro ricoverati, anche quelli inabili a qualsiasi attività produttiva.

Furono comunque i cattolici a lanciare il guanto di sfida al regime, dapprima con la pastorale dei vescovi del 26 giugno 1941, e quindi con la storica omelia del vescovo di Münster, conte von Galen, del 3 agosto. Nella pastorale si ribadiva fra l´altro il divieto di uccidere, al di fuori della guerra e della legittima difesa. Ma fu l´intervento di von Galen dal pulpito del duomo di Münster a smuovere la coscienza popolare al di sopra delle confessioni religiose, grazie alla sua vigorosa denuncia del tramonto dello Stato di diritto con le sue leggi che vietano l´omicidio, negli istituti preposti alla tutela e all´assistenza dei poveri malati indifesi. Costoro vengono uccisi non perché colpevoli di qualche crimine, ma solo perché, a giudizio di qualche ufficio o in base alla perizia di qualche commissione, sono diventati indegni di vivere. Essi - sottolineò il prelato - non possono più produrre beni; sono diventati come una macchina vecchia che non funziona più, come un vecchio cavallo inguaribilmente azzoppato, come una mucca che non dà più latte. Ma qui si tratta di uomini come noi, nostri fratelli e sorelle: uomini poveri, malati, improduttivi ma che per questo non hanno perso il diritto alla vita. Hai tu, ho io - chiese egli - il diritto di vivere soltanto finché vengo riconosciuto produttivo dagli altri? Se si dovesse riconoscere il principio che è lecito uccidere il prossimo perché improduttivo, allora guai a noi quando saremo vecchi e deboli, guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno sacrificato le loro forze e le loro ossa, guai ai nostri valorosi soldati che tornano in patria con gravi ferite, come storpi ed invalidi. Se si ammette per una volta - proseguì l´oratore - che gli uomini abbiano il diritto di uccidere altri uomini improduttivi, allora si dà per principio via libera all´assassinio di tutti gli uomini improduttivi, quindi dei malati incurabili, degli invalidi della guerra e del lavoro e di noi tutti quando diventiamo vecchi e debilitati e quindi improduttivi.

Mai prima di Galen l´eutanasia, nella sua versione hitleriana, era stata fatta oggetto di una denuncia così ferma e lucida ed alla portata dell´uomo della strada, che vedeva riflettersi in essa l´angoscia per il proprio futuro minacciato all´esterno dall´«escalation» della guerra e all´interno da uno stato in cui l´area del diritto veniva sempre più compressa per fare posto all´avanzata dell´illegalità e dell´arbitrio a spese dei più deboli. Il regime toccava il punto più basso della sua popolarità proprio nel momento in cui le armate hitleriane dilagavano, apparentemente inarrestabili nel territorio dell´Unione Sovietica. Qualcuno, nella cerchia del dittatore, gli suggerì di far impiccare il vescovo, ma la proposta venne lasciata cadere perché non si voleva creare un martire.

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