I piani per la sterilizzazione
di milioni di ebrei e «bolscevichi»

La legge del 1933 sulla sterilizzazione coatta in Germania aveva consentito, nel giro di alcuni anni, l´esclusione dal processo riproduttivo di 350 mila individui senza ripercussioni, nella grande maggioranza, sulle loro capacità di lavoro. Dal punto di vista nazionalsocialista, perciò, la misura si era rivelata un successo, malgrado la macchinosità della procedura giudiziaria posta in atto, con le relative lungaggini motivate comunque dall´esigenza di evitare ogni abuso.

In tempi di emergenza bellica e nei territori orientali occupati le garanzie offerte dal sistema giudiziario avevano ceduto il passo alle urgenti ed incombenti necessità politiche e militari, offrendo così un varco ai progetti di sterilizzazione in massa di detenuti di razza ebraica e di cittadinanza sovietica. Se n´era occupato, fra gli altri, anche un medico di sicura fede hitleriana, iscritto al partito sin dal 1930, Horst Schumann. Costui fu uno tra i primi ad arruolarsi fra i «combattenti» dell´operazione eutanasia offrendo i propri servigi dapprima quale perito medico e poi come direttore del primo istituto in cui venne attuata l´uccisione dei bambini handicappati, dapprima, e poi quella degli adulti classificati malati di mente. Da Grafeneck, avviata all´obiettivo fissato nel piano generale per lo «sfoltimento» degli istituti di cura, Schumann aveva ottenuto la nomina di dirigente di un altro «istituto-patibolo», quello di Sonnenstein presso Pirna.

Viktor Brack Animato da una solida ambizione non meno che dal culto della personalità del Führer, Schumann, resosi conto dell´importanza che una sterilizzazione di massa avrebbe potuto avere per un grande Reich nel cui ambito solo i cittadini di ceppo tedesco sarebbero stati ammessi alla pro creazione, concepì un piano preciso. Si trattava di vagliare l´impiego dei raggi X sulle ghiandole germinali al fine della sterilizzazione. A questo fine egli si pose in contatto con Viktor Brack, uno dei protagonisti dell´operazione eutanasia assieme al suo diretto superiore Philipp Bouhler ed al medico personale di Hitler, dott. Karl Brandt. Superata la trafila prevista, della faccenda mostrò di interessarsi direttamente Himmler, il quale fece sapere di aver posto a disposizione dello sperimentatore il «materiale relativo» nel Lager di Auschwitz. Il «materiale», nel linguaggio del capo delle SS, comprendeva anche e soprattutto i detenuti ebrei da usare come cavie umane. Ed infatti Schumann non mancò di approfittare della proposta per compiere un esperimento con alcuni ebrei abili al lavoro, in età compresa fra i venti e i ventiquattro anni, sottoponendo i loro organi genitali per 15 minuti all´azione dei raggi. I disgraziati dovevano poi tornare al lavoro, ovvero, se impediti dalle ustioni e dalle suppurazioni per le lesioni subite, venivano senz´altro gassati. Dopo qualche settimana le vittime venivano castrate ed i testicoli sezionati, in vista di un controllo al microscopio.

A conclusione di questi esperimenti, ai quali si era aggiunta la sterilizzazione senza narcosi, nel Lager di Ravensbruck, di alcuni bambini nomadi, era risultato che l´intensità dell´esposizione ai raggi necessaria avrebbe determinato una castrazione con tutti i suoi effetti. Il dosaggio elevato finiva infatti per distruggere la secrezione interna dell´ovaia, rispettivamente dei testicoli. A giudizio dello sperimentatore, con gli opportuni accorgimenti il tempo di irradiazione avrebbe potuto ridursi a due minuti per l´uomo e a tre minuti per la donna. Non essendo tuttavia possibile una schermatura con piombo delle altre parti del corpo, sarebbero stati lesi i loro tessuti determinando dei malesseri, mentre con un´intensità maggiore delle irradiazioni si sarebbero manifestate nei giorni e nelle settimane seguenti lesioni sul tipo delle ustioni.

Nel rapporto inoltrato a Himmler da Brack venne addirittura presentato un progetto per la pratica attuazione della sterilizzazione con i raggi in questione. Si trattava di chiamare la persona da «trattare» ad uno sportello attrezzato per l´irradiazione da ambo le parti e opportunamente mimetizzato, trattenendola per due o tre minuti per la compilazione di formulari od altro, mentre il medico travestito da impiegato azionava l´apparecchio. In questo modo, sarebbe stato possibile sterilizzare nell´arco di una giornata da 150 a 200 persone, mentre un laboratorio con venti sportelli a raggi X avrebbe avuto un potenziale di 3-4 mila vittime al giorno. Brack faceva presente che un ulteriore incremento non sarebbe comunque entrato in considerazione, rilevando che la procedura avrebbe potuto essere applicata su due o tre milioni di uomini e donne di razza ebraica in perfette condizioni lavorative. Il «Reichsleiter» Bouhler, concludeva il rapporto, se Himmler avesse voluto optare per questo metodo di controllo della natalità del «materiale da lavoro», era pronto a porre a disposizione i medici necessari e l´altro personale. Evidentemente Bouhler face va affidamento sullo «stock» dell´organizzazione «T 4».

Horst Schumann Il grottesco piano venne seriamente ponderato da Himmler che però alla fine non lo ritenne praticabile. Schumann poté comunque continuare la carriera all´ombra della centrale dell´eutanasia anche con l´azione «14 f 13», cioè con la liquidazione di detenuti invalidi dei campi di concentramento. Successivamente, dopo un periodo di intenso «lavoro» ad Auschwitz, si occupò del «trattamento speciale» dei lavoratori forzati malati di nazionalità russa e polacca, fino al suo richiamo nella Wehrmacht del gennaio 1945.

Nel dopoguerra sfuggì per anni alle ricerche, dapprima come medico di bordo sotto falso nome e poi nel Ghana, sempre con false generalità, finché non fu arrestato ed estradato. Il processo contro di lui non poté essere celebrato avendo l´imputato presentato certificati medici dai quali risultava in precarie condizioni di salute. Venne pertanto rilasciato in libertà dopo aver scontato solo sei anni di carcere preventivo; morì parecchio dopo.

I gerarchi della croce uncinata, dopo l´abbandono del «piano Schumann», non si erano dati per vinti, anzi avevano trovato ulteriore alimento alle loro speranze in una pianta sudamericana, il «caladium seguinum». Un´industria germanica si era occupata, in uno studio su tale pianta, dei suoi effetti sterilizzanti già collaudati su alcuni animali. Una segnalazione al riguardo era partita dall´Austria inferiore, con il suggerimento di avviare le opportune ricerche e gli esperimenti umani da affidare ad una equipe di medici competenti, sulla base di quelli già compiuti su animali. Veniva altresì proposto di attingere al Lager per nomadi di Lackenbach, sempre nell´Austria inferiore, per ottenere cavie umane. In questo modo si sarebbero presi due piccioni con una fava, abbinando il progresso della scienza alla neutralizzazione di individui nocivi.

Ispirate ad un orizzonte più vasto le considerazioni fatte in materia da un noto dermatologo di Monaco, Adolf Pokorny, in una entusiastica lettera a Himmler. Secondo lo scrivente, se le ricerche da avviare fossero state coronate da successo consentendo una sterilizzazione inavvertita dal soggetto, si sarebbero aperte prospettive luminose. I tre milioni di «bolscevichi» allora prigionieri dei tedeschi sarebbero rimasti disponibili quali forze lavorative pur essendo esclusi dalla riproduzione. Il dermatologo suggeriva di imporre il silenzio stampa sull´argomento e di intensificare la coltivazione in serra della pianta nonché, naturalmente, una serie di esperimenti, mentre si doveva preparare il terreno per la produzione sintetica.

Per Himmler, che effettivamente aveva già impartito istruzioni per la coltivazione e per l´approfondimento degli studi al riguardo, il piano fu apportatore alla fine di una cocente delusione perché la pianta, nonostante tutti gli sforzi, non attecchiva.

Carl Clauberg Di un´altra via verso il sospirato traguardo si fece portavoce il prof. dott. Carl Clauberg di Königshütte, luminare della scienza ed alto ufficiale delle SS, il quale faceva molto affidamento sull´iniezione intrauterina di una sostanza chimica con proprietà sterilizzanti anche perché essa avrebbe potuto essere somministrata da un qualsiasi medico in occasione di una normale visita. Egli ottenne il permesso di sperimentare l´iniezione su un gruppo di ebree detenute nel lager di Ravensbrück, dopo aver risposto al quesito pregiudiziale postogli dal «gran mastino» delle SS circa il tempo necessario per procedere alla sterilizzazione di 1000 ebree. La procedura, evidentemente, poteva interessare soltanto se fosse stata applicabile in massa, previa mobilitazione del personale necessario. Clauberg rispose che con l´impiego di dieci uomini di personale sarebbe stato in grado di «trattare» parecchie centinaia di pazienti al giorno, al limite fino ad un migliaio.

In vista di un affinamento del metodo decise ad ogni modo di operare su una scala ben più vasta, e precisamente su 300 donne da lui fatte trasferire da Ravensbrück ad Auschwitz. Gli accertamenti radiografici circa l´esito delle iniezioni rivelarono che la sostanza impiegata era penetrata in profondità nelle ovaie è, in taluni casi, fino al ventre. Molte donne morirono, altre vennero uccise con il gas al termine degli esperimenti, conclusi con un bilancio di centinaia di «cavie umane» assassinate e mutilate.

Strasburgo, «liberata» dai nazisti, era destinata a diventare sede di una «Università del Reich» intesa come faro di irradiazione culturale del regime. In questo ambito doveva inserirsi una particolare collezione scientifica: si trattava di una esposizione di crani e di scheletri di «commissari giudaico-bolscevichi» intesa ad illustrare alle future generazioni le peculiari caratteristiche di una razza in via di estinzione. Promotore di questa brillante iniziativa culturale il prof. dott. August Hirt che sollecitò ed ottenne da Himmler la fornitura dei reperti necessari. Infatti il comandante ed il medico del lager di Auschwitz selezionarono 115 persone, cioè 79 ebrei e 30 ebree, oltre ad alcuni polacchi e individui originari dell´Asia centrale, che furono trasferiti al campo di lavoro di Natzweiler, ove vennero assassinati con una soluzione di sali al cianuro fornita dallo stesso prof. Hirt.

Nei locali della futura «Università del Reich», le salme vennero infine deposte in appositi bacini di conservazione con immersione in una soluzione composta al 55 per cento di alcool. Nell´imminenza del tracollo del grande Reich millenario, il docente dovette rinunciare alla progettata mostra. Le salme vennero estratte dai bacini e bruciate.

Gli esperimenti con cavie umane costituite da lavoratori forzati, compiuti in gran parte nella stazione allestita nel KZ di Dachau ma anche ad Auschwitz e in altri Lager, rappresentano uno dei capitoli più foschi del Terzo Reich, la cui storia è pur tanto ricca di episodi che illustrano il criminale disprezzo per la vita umana di cui fecero sfoggio il regime ed i suoi uomini. Alla resa dei conti, i responsabili cercarono di difendersi sostenendo che per gli esperimenti più rischiosi erano stati prescelti detenuti condannati a morte. Si trattava di una menzogna perché tale condizione venne soddisfatta in pochissimi casi, mentre non vennero rispettate le altre condizioni previste, e cioè in primo luogo la limitazione degli obiettivi a quelli non possibili da raggiungere con le prove su animali, la volontarietà dei soggetti e la ricompensa per i partecipanti. In realtà, il requisito della volontarietà appariva di problematica attuazione in un campo di concentramento in cui regnavano condizioni di vita particolarmente dure. Ma soprattutto desta indignazione il fatto che, per la prima volta nella storia degli esperimenti umani, venisse incluso di proposito il cosiddetto «esperimento terminale», cioè la morte programmata della «cavia» con relativa autopsia. E questo il caso di una serie di prove effettuate in camere di compressione per accertare la resistenza degli organismi umani ad alta quota e le possibilità di salvataggio. Vennero impiegati due tipi di detenuti: da dieci a quindici volontari e da 150 a 200 detenuti scelti a caso, senza il loro consenso. Di questo secondo gruppo, da 70 ad 80 persero la vita, mentre gli altri non ebbero danni alla salute. Il patrocinio dell´iniziativa era della Luftwaffe, all´interno della quale non vennero sollevate obiezioni all´impiego di detenuti, tanto più che sul piano giuridico i responsabili si sentivano coperti dall´autorizzazione di Himmler. Sullo sfondo c´erano gli sviluppi nel settore dei caccia a reazione, in grado di salire fino a diciotto mila metri; le ricerche fatte fino allora per sondare le reazioni dell´organismo umano ad alta quota non erano andate al di sopra dei 12.500-13.500 metri di altezza, oltre i quali esso entrava in sofferenza. Il problema affrontato riguardava in particolare il grado di tolleranza di voli ripetuti in carenza di flusso di ossigeno, accertato grazie alla simulazione in cabine di compressione.

Protagonista delle prove l´ufficiale medico dello Stato maggiore della Luftwaffe, Rascher, assieme ad altri medici, uno dei quali assisti di persona al deliberato sacrificio di una vita umana ad opera del suo commilitone. Questi non aveva abbassato la manopola della pressione benché il collega lo avesse avvertito che si stava oltrepassando il limite della tolleranza nel soggetto. Rascher si comportò nello stesso modo anche in altre occasioni; i commilitoni partecipanti agli esperimenti fecero allora in modo che essi non si ripetessero, riportando la cabina a Berlino al primo guasto. Venne poi accertato che Rascher era passato sopra ad ogni scrupolo di risparmiare la vita umana solo perché spinto dall´ambizione di ottenere una libera docenza e perché fidava nella protezione di Himmler. Lo stesso ufficiale fu poi al centro di un´altra prova riguardante la capacita di resistenza al freddo durante una lunga permanenza in mare, ad esempio di naufraghi e di piloti di aerei precipitati. In particolare, si cercò di verificare il metodo più rapido per il ripristino della normale temperatura corporea. Prendendo la parola qualche tempo dopo ad un congresso medico, Rascher affermò che come cavie erano stati impiegati volontari condannati da tribunali ordinari a lunghe pene detentive. Egli non ne precisò il numero, ma emerse poi da rapporti che si ebbero a registrare da 80 a 90 vittime su un totale di 250-300 persone coinvolte.

Una ricerca sulla febbre petecchiale venne compiuta in un reparto speciale del KZ di Buchenwald, affidato al dott. Ding-Schuler, per ordine del «Reichsarzt SS» dott. Grawitz, diretto sottoposto di Himmler per le questioni sanitarie. L´obiettivo era quello di realizzare un vaccino di produzione delle SS, quale contributo alla protezione contro la malattia delle truppe operanti all´est; in via pregiudiziale occorreva vagliare e comparare l´efficacia dei vaccini esistenti. La scelta di un campo di concentramento quale sede della ricerca fu dovuta al fatto che alcuni studiosi stranieri del ramo erano detenuti a Buchenwald e che si faceva affidamento sulla loro collaborazione.

Risultò che l´immunità precedentemente acquisita da persone che avevano contratto e superato il morbo era la più valida protezione contro un contagio che aveva finito per raggiungere le frontiere del Reich, ma si accettò altresì che i vaccini utilizzati avevano sensibilmente attenuato l´andamento della malattia. Su 392 persone vaccinate con vari vaccini e successivamente contagiate con il virus della febbre petecchiale e su 89 persone di controllo (non vaccinate), gli ammalati furono 383 ed i casi di morte 97, di cui 57 fra i vaccinati e 40 fra le persone di controllo. Si affermò che ben 145 «cavie» erano state prescelte fra i condannati a morte ovvero a lunghe pene detentive, comunque tutti di cittadinanza germanica in quanto all´est la febbre petecchiale si era estesa a macchia d´olio. In realtà, secondo testimonianze attendibili, non vi erano condannati a morte e pochi i criminali con oltre dieci anni di carcere da scontare; dopo che le richieste di volontari allettati con un aumento delle razioni alimentari non avevano ottenuto il riscontro desiderato, la scelta venne lasciata all´arbitrio del medico del Lager e finì per colpire tutte le categorie di detenuti, dai criminali ai politici e dagli asociali agli omosessuali.

Un´altra serie di esperimenti si svolse al campo di lavoro di Natzweiler sotto la guida del prof. Haagens e con il patrocinio delle SS per la prova di un vaccino da lui prodotto ma che da altri era stato ritenuto troppo pericoloso. Il «materiale umano» inviatogli non venne da lui considerato utilizzabile perché colpito da varie affezioni e quindi non idoneo neppure dopo un periodo di adattamento ad una alimentazione normale. Dopo la sua protesta ottenne dal lager di Auschwitz 200 detenuti in «buono stato», naturalmente non volontari; ventisette furono i casi mortali.

Perdite non precisate ed atroci sofferenze furono causate dagli esperimenti con sulfamidici portati a termine a Hohenlychen, a dodici chilometri dal campo di lavoro femminile di Ravensbrück, sotto la direzione del primario prof. dott. Karl Gebhardt, quale consulente chirurgo delle SS. Questi era stato sollecitato da Himmler nel maggio 1942 a trovare una rapida soluzione del problema dei sulfamidici perché le gravi perdite delle SS all´est e le mediocri prestazioni dei medici colà impiegati stavano incidendo negativamente sul morale dei soldati. La propaganda nemica esaltava d´altro canto l´efficacia della penicillina e dei sulfamidici contro le infezioni e le ferite. Il «Reichsarzt» SS Grawitz riferì a Himmler sul favorevole sviluppo delle ricerche in questo settore in Germania, ma Gebhardt intervenne contro un impiego su vasta scala al fronte in quanto, a suo dire, esso avrebbe pregiudicato la possibilità di un immediato intervento chirurgico. L´attentato al vice protettore della Boemia e Moravia, Reinhard Heydrich, fece poi precipitare la situazione. Il ferito venne operato d´urgenza a regola d´arte ma, ciononostante, pochi giorni dopo morì. Il medico di fiducia di Hitler, Morell, non aveva esitato ad affermare che il ricorso in questo caso ai sulfamidici avrebbe salvato la vita a Heydrich.

Venne deciso l´immediato avvio di esperimenti umani sotto la regia di Grawitz ma con il patrocinio di Himmler, che fece sapere che i detenuti nei KZ o nelle prigioni non potevano tenersi in disparte dal momento che i soldati tedeschi dovevano sacrificarsi in guerra mentre le donne e i bambini erano alla mercé delle bombe al fosforo. Furono le donne polacche del KZ di Ravensbrück a subire le atrocità degli esperimenti organizzati da Gebhardt, che si concretarono in profonde incisioni alle cosce fino a toccare l´osso, come si poté constatare dall´esame delle ferite delle poche sopravvissute e come fu confermato dai giudici nel dopoguerra. Ripetutamente nelle incisioni vennero allogate non solo delle culture di batteri ma anche frammenti e trucioli di legno o schegge di vetro, ciò che provocò gravi suppurazioni estese alle gambe. Le vittime, fatte oggetto di osservazioni circa l´andamento della malattia ma senza subire trattamento alcuno, morivano fra indicibili sofferenze. Ma anche fra le altre, assoggettate ad un trattamento con sulfamidici, l´aliquota delle sopravvissute fu modesta. L´inserimento nella ferita di trucioli e schegge di vetro e di legno tendeva a modificare il quadro clinico perché si avvicinasse a quello delle ferite da arma da fuoco dei soldati al fronte. Complessivamente si svolsero 6 serie di esperimenti, ognuna delle quali comprendente da sei a dieci ragazze polacche.

Sui risultati riferì Gebhardt in un convegno di specialisti dell´accademia militare di Berlino, alla presenza del sottosegretario agli interni Conti, di Karl Brandt e di altri gerarchi e professori. Non celò che essi si erano svolti in un campo di concentramento ma sostenne che le cavie umane impiegate erano composte esclusivamente da condannati a morte, senza precisare che si trattava di donne e di detenuti politici e senza riferire la località in cui si erano svolti. Nessuno dei 200 medici presenti trovò da ridire.

Di ulteriori esperimenti furono vittime numerose altre detenute del lager femminile di Ravensbrück, come quelli imperniati sul trapianto osseo e sul prelievo di schegge ossee, in quest´ultimo caso per dimostrare la bontà di un trattamento inteso alla rigenerazione del periostio, nonché sul tentativo di rigenerare nervi e muscoli lesi. Nel caso in cui il peggioramento delle condizioni generali delle poverette lasciava pensare ad un esito letale, esse venivano uccise con iniezioni. Sempre nella stazione sperimentale di Dachau venne vagliata l´efficacia sull´organismo umano di nuovi mezzi terapeutici contro flemmoni ed ascessi; i pazienti erano tedeschi, unitamente a parecchi preti e frati cattolici di vari paesi, e si lamentarono alcune decine di morti. Gebhardt trovò da obiettare a questi ultimi esperimenti, sostenuti invece da Himmler in quanto avversario della medicina scolastica e favorevole ai rimedi tramandati da quella popolare. Il capo delle SS, che per ragioni di prestigio aveva costituito un istituto per la ricerca scientifico-militare denominata «Ahnenerbe», appoggiava incondizionatamente l´attività sperimentale, ad esempio in connessione con ustioni da gas liquido provocate artificialmente. Al riguardo v´era stato un ordine segreto di Hitler per incoraggiare gli esperimenti con armi chimiche condotti su animali e su uomini, alcuni dei quali avevano avuto esiti letali.

(81-90)


<== Indietro (12)

Indice

(14) Avanti ==>