Azione «14 f 13»:
l´eutanasia si salda con la realtà dei Lager

Nel febbraio 1941 a Berlino si svolse un colloquio che si è tentati di definire «storico» fra il capo delle «SS», Heinrich Himmler, e il capo della Cancelleria del Führer, Philipp Bouhler, dirigente dell´«operazione eutanasia». Dall´incontro fra i due esperti in materia di stragi scaturì infatti un importante accordo imperniato sull´utilizzazione dell´esperienza acquisita e del potenziale di sterminio della «T 4» al fine di liberare i campi di concentramento dalle «esistenze zavorra».

C´erano all´epoca tre categorie di «Lager». La prima era costituita da campi di lavoro in cui regnavano condizioni pressoché umane, con detenzione a tempo determinato. Per quanto riguarda le altre due categorie l´unico fatto certo per gli sfortunati ospiti era soltanto la data d´ingresso mentre la sopravvivenza era assai problematica, soprattutto nei «Lager» di terza classe, i più duri come trattamento dal lavoro forzato. Molto dipendeva però dai singoli comandanti, per cui le differenze fra le due categorie diventavano aleatorie. Esistevano poi campi secondari, spesso come succursali di quelli maggiori che avevano finito per assumere proporzioni troppo vaste. Come conseguenza, i campi aumentavano di numero e si diffondevano ovunque, come una metastasi in un corpo umano dalle difese intaccate dal morbo.

Nei «Lager» le SS avevano diritto di vita e di morte sui detenuti, soggetti perciò al loro arbitrio e talora anche a quello dei loro compagni di prigionia se costoro erano servizievoli nei confronti dei «padroni», come era spesso il caso per la categoria dei criminali contrassegnati da un triangolo verde sulla loro casacca.

I nuovi arrivati venivano assoggettati ad un orario di lavoro molto gravoso e ad un regime alimentare estremamente ridotto. L´attrezzatura delle baracche per l´alloggiamento era quanto mai primitiva mentre ci si trovava a dover fronteggiare una disciplina ferrea e la brutalità dei «guardiani» che si divertivano ad angariare ed umiliare i loro «schiavi». Se poi i nuovi arrivati non riuscivano a trovare un contatto umano con i loro compagni di prigionia, spesso crollavano sia fisicamente che moralmente come conseguenza delle privazioni cui erano assoggettati, fra cui, per non pochi, quella della loro dignità di uomini quotidianamente calpestata dai loro sgherri. Diventavano così, nel gergo dei «Lager», dei «Muselmänner» cioè dei rottami, larve umane, esseri fatalisti ai quali era stata spezzata la spina dorsale. La sopravvivenza fisica era in pratica legata al superamento dei primi due o tre mesi di prigionia; ovviamente le prospettive erano migliori per i più giovani e per i lavoratori manuali nonché per quanti erano ancorati a saldi convincimenti religiosi, politici o morali. Per effetto delle durissime condizioni di vita, comunque, la mortalità e la morbilità erano elevatissime. La situazione era sgradevole per Himmler quale dittatore dei Lager, in particolare dal momento che la guerra stava per entrare nella fase decisiva, per cui il Terzo Reich aveva bisogno estremo di ogni forza lavorativa disponibile nonostante i rinforzi dai Paesi occupati. Occorreva perciò sfoltire i ranghi degli ospiti dei «KZ» dai frequentatori assidui delle infermerie e dei lazzaretti in connessione con malattie reali ovvero immaginarie e da tutti coloro che, in generale, turbavano il ritmo lavorativo e l´ordine con il loro atteggiamento. Anche grazie all´esperienza fatta nel quadro dell´«operazione T 4», i più idonei ad attuare una selezione del genere erano i medici dell´eutanasia, all´epoca in disarmo (tranne quelli operanti nelle sezioni specialistiche pediatriche) ma ansiosi di tornare al «lavoro». Heyde, Nitsche, Mennecke, Schumann, Ratka e tanti altri erano anzi lieti dell´occasione che si offriva loro di spostare il proprio campo d´azione delle cliniche e dagli ospedali ai campi di concentramento, rigidamente preclusi ai non addetti ai lavori. Come ai loro «bei tempi» tornarono in auge i moduli di denuncia già impiegati per i malati di mente, peraltro molto semplificati, redatti a cura dei medici dei «Lager». La selezione finale veniva decisa dalle commissioni mediche che si spostavano da un campo all´altro. Ovviamente, non si trattava più dell´«azione T 4». Nella corrispondenza delle SS venne usata al riguardo la sigla «14 f 13»; forse era la sigla dell´ispettore generale dei «KZ» ovvero essa risaliva al codice interno dell´arma.

Certo è che, dal canto loro, i medici dei campi di concentramento fecero tutto ciò che era in loro potere per agevolare l´opera delle commissioni viaggianti, non esitando a trarre in inganno i detenuti in cattive condizioni fisiche consigliando loro un «trattamento sanatoriale» in quelli che in realtà erano gli istituti delle camere a gas. Così ad esempio accadde ad Auschwitz, ove i malati furono esortati ad approfittare dei posti liberi nel «sanatorio» di Sonnenstein in Sassonia per una cura a conclusione della quale sarebbero potuti tornare freschi e riposati al lavoro. Ben 575 ospiti di Auschwitz accettarono l´invitante ma infernale offerta e persero la vita a Sonnenstein. Anche i malati cronici di Dachau, allettati dalla proposta di trasferirsi temporaneamente nel «campo di riposo» di Hartheim, affrontarono il relativo viaggio che doveva rivelarsi senza ritorno. Mauthausen fu unita da una specie di gemellaggio a Hartheim, distante soltanto una trentina di chilometri, sede di una camera a gas che rimase in funzione fino al gennaio 1945. Trasporti di invalidi divenuti tali nei Lager di Sachsenhausen, Buchenwald, Flossenburg, Groß-Rosen, Neuengamme e Niederhagen vennero fatti affluire ai più vicini istituti adibiti alle esecuzioni, presentati come campi di riposo e ricreazione. Con queste iniziative dei medici dei KZ veniva agevolata l´opera delle commissioni mediche, che si limitavano a dare un´occhiata ai formulari già compilati e ai detenuti, contrassegnando i moduli stessi con una crocetta nel caso in cui optavano per il trasferimento. In seguito, naturalmente i detenuti temporaneamente inabili al lavoro, una volta resisi conto del fatto che coloro che avevano aderito alla proposta di una salutare vacanza non avevano più dato notizia di se, si guardarono bene dall´accettare altre offerte del genere o posero in guardia i loro compagni di sventura. Il trucco comunque funzionò per alcune migliaia di infelici, provocando inizialmente degli intasamenti nei lager di destinazione.

Praticamente l´«azione 14 f 13» si svolse in tre fasi, di cui la prima incentrata sui trasferimenti volontari sotto menzogneri pretesti. Subentrarono poi i dirigenti ed i medici dei singoli lager, seguiti alla fine, nell´ultima fase, dai componenti delle commissioni mediche, esortati in un secondo tempo da un «ripensamento» di Himmler a risparmiare comunque i detenuti con capacità lavorativa, anche se ridotta. A tal fine, venne ordinato di limitare la selezione ai soli infermi mentali, risparmiando cioè anche i detenuti affetti da deformità e malattie. In realtà vittime delle due fasi iniziali furono non solo malati ma anche polacchi, ebrei, violatori della segregazione razziale ed altri. I decessi non venivano registrati negli istituti di arrivo in cui si verificavano bensì nei Lager di partenza.

Il bilancio delle vittime dell´«azione 14 f 13» non può che essere approssimativo, tranne che per quelle provenienti da alcuni «Lager» come Dachau (3.225), Buchenwald (834), Auschwitz (575) e Mauthausen-Gusen (circa cinque mila), ma certamente non fu inferiore a quindici mila persone.

Berlin, Tiergatensrasse, 4 (T4) Il passo indietro compiuto da Himmler con la circolare in cui l´azione «14 f 13» veniva limitata ai soli malati di mente fu verosimilmente il frutto di un intervento diretto di Hitler il quale non voleva rischiare, nella fase critica raggiunta dalla guerra, un´ulteriore mobilitazione dell´opinione pubblica come quella suscitata dalle «stragi segrete» di Grafeneck e degli altri istituti di morte. D´altro canto il despota ci teneva a non allentare troppo il guinzaglio nei confronti del capo del terzo potere nell´ambito dello Stato nazista, dopo il partito e l´esercito, anche se Himmler non godeva di una popolarità tale da costituire un reale pericolo; al contrario, la sua considerazione non andava di là di quella dovuta ad un fedele servitore del regime e ad un geniale organizzatore della poderosa macchina di sterminio da esso creata.

In questo quadro l´apparente ritirata compiuta con la circolare suddetta non comporta un sacrificio, sia pure temporaneo, del principio selettivo sul quale si basa il modello sociale del nazismo. Al contrario, proprio in questa fase viene ribadita, a proposito dei cosiddetti «asociali», cioè gli elementi emarginati della società, la funzione originaria dei «Lager»: quella di annientamento dei «diversi». Si tratta di una flagrante contraddizione con la parola d´ordine propagandistica secondo cui «il lavoro rende liberi», grazie al suo valore rieducativo. Ma la propaganda doveva cedere il passo alla dottrina ufficiale del partito, secondo cui l´asocialità è una tara ereditaria; una dottrina cara alla psichiatria più o meno ufficiale del tempo.

Interessante al riguardo è un´iniziativa promossa dagli organi di partito nella regione austriaca del Danubio inferiore alfine di una chiara definizione dell´asocialità per consentire una lotta più efficace contro un fenomeno che, specie in tempo di guerra, veniva definito «una turbativa politica di prim´ordine». L´iniziativa si concretò in una registrazione intesa a fissare le caratteristiche di questa categoria di persone nell´ambito di un´inchiesta coinvolgente vicini e colleghi. Gli asociali - chiariva il partito «sono gli individui che, per costituzione e quindi non suscettibili di recupero, non sono in grado di soddisfare le esigenze minime imposte dalla comunità popolare al loro comportamento personale, sociale e popolare. In primo luogo figurano coloro che si pongono continuamente in conflitto con le leggi penali, la polizia e le altre autorità a causa delle loro tendenze criminali, ostili allo Stato e di propensione alla ribellione, poi gli scansafatiche che, benché abili al lavoro, campano parassitariamente sulle istituzioni sociali ovvero, in mancanza di senso di responsabilità, non sono in grado di condurre un´esistenza ordinata e di educare i figli per farne utili componenti della comunità, quindi gli alcolizzati e le persone di condotta e di professione immorale, come prostitute, lenoni, delinquenti sessuali, omosessuali, ecc.». Dal punto di vista biologico, sempre secondo il documento, l´asocialità è caratterizzata dal carattere ereditario dei fattori fisici e psichici determinanti, ciò che spiega lo scarso successo delle misure di rieducazione e di recupero attuate dal «liberalismo». Inoltre si rilevava che la scelta del coniuge spesso viene effettuata nella stessa cerchia sociale per cui le conseguenze si riflettono nell´inabilità della discendenza.

Poste queste premesse, la registrazione decisa mirava ad accertare lo stato di occupazione, i mutamenti del posto di lavoro, le malattie, la fedeltà coniugale, i disordini sessuali, l´esistenza di debiti, gli interventi delle istituzioni sociali e le frequenti istanze rivolte dai soggetti alle autorità e agli organi di partito.

In virtù di un accordo fra il partito stesso e le autorità venne istituita una commissione a livello circondariale con il compito di selezionare gli «asociali» in vista della loro assegnazione a campi di lavoro e di concentramento, questi ultimi noti sotto la sigla «KZ». Facevano parte della commissione anche psichiatri per i quali la teoria del carattere ereditario della marginalità sociale appariva «scientificamente fondata», ragione per cui concordavano con l´opportunità del «trattamento speciale» consigliato. Il pensiero di Hitler sul tema, con particolare riferimento ai detenuti nelle case di pena, venne espresso nel corso di un colloquio con il nuovo ministro della giustizia Otto Georg Thierack, presidente del «tribunale del popolo». «Poiché i giovani migliori cadono al fronte, è giusto - sottolineò il despota - che quanti campano tranquilli nelle carceri vengano impiegati in lavori pericolosi, come l´eliminazione delle mine, o particolarmente faticosi.» Thierack ebbe poi una conversazione con il ministro Goebbels, che gli chiarì la graduatoria che, a suo avviso, si sarebbe dovuta seguire per sfoltire la schiera degli elementi nocivi. Andrebbero presi di mira senz´altro ebrei e zingari, proclamò Goebbels; poi i polacchi condannati a 3-4 anni di carcere e i tedeschi condannati a morte o all´ergastolo. Quanto alle modalità, il ministro della propaganda spezzò una lancia a favore dell´annientamento per mezzo del lavoro. Bastò questo accenno orché Thierack si desse da fare al ministero per la nomina di una commissione peritale cui affidare la scelta delle vittime. Poi scrisse a Bormann, capo della SA, una lettera in cui affermava testualmente: «In base al concetto della liberazione dell´etnia tedesca da polacchi, russi, ebrei e zingari e al concetto della messa a disposizione dei territori orientali acquisiti al Reich quale terra di colonizzazione per l´elemento tedesco, intendo affidare al »Reichsführer SS« Himmler il perseguimento penale dei polacchi, russi, e zingari, partendo dal presupposto che la giustizia può contribuire soltanto in piccola misura all´estirpazione di appartenenti a questi gruppi etnici. Indubbiamente la giustizia pronuncia ora verdetti molto duri nei confronti di tali persone, ma ciò non basta per contribuire in modo essenziale all´attuazione dei concetti suesposti. Non ha neppure senso alcuno conservare tali persone per anni nelle prigioni e nei penitenziari tedeschi, anche se, come oggi avviene molto spesso, le loro forze di lavoro vengono utilizzate a fini bellici».

Il ministro della giustizia, consapevole di non poter concorrere con le SS in tema di annientamento di interi gruppi etnici, devolveva pertanto le proprie competenze a Himmler. Le carceri si svuotarono a profitto dei «Lager», previa perizia dei funzionari del dicastero della giustizia. In gran parte gli «asociali» finirono a Mauthausen, ove con la politica dello sterminio per mezzo del lavoro, nel giro di pochi mesi persero metà degli effettivi, passando da 12.658 prigionieri a 6.723 superstiti. In molti casi, le carceri e gli istituti psichiatrici rifornirono il «KZ» di Mauthausen che diventò anch´esso una stazione di transito assieme ad Auschwitz in vista della destinazione finale, la camera a gas dell´istituto di Hartheim.

Lo sterminio degli infermi mentali si era frattanto esteso all´unione sovietica con l´impiego di nuclei mobili di intervento («Sonderkommando») di cui facevano parte militi delle SS, della Gestapo, dello SD (il servizio di sicurezza) e agenti della polizia criminale. Ospedali e manicomi furono sgomberati e requisiti per la Wehrmacht mentre i loro ospiti vennero uccisi. In Lettonia furono presi di mira gli istituti psichiatrici di Riga, Düneburg e Mitau, per un totale di 1800-2200 vittime; ad Aglona si contarono 544 vittime, mentre a Poltava i «liquidati» furono 545. Da Minsk venne annunciato il «trattamento speciale» di 632 malati di mente e da Mogilev quello di 836. Ancora, da Dnjepropetrovsk si ebbe notizia dell´eliminazione di circa 1.550 ospiti del manicomio mentre a Kiev una parte dei malati di mente fu assoggettata ad una drastica riduzione delle razioni alimentari; altri 300 vennero gettati in un burrone. Sempre da Kiev giunse il primo annuncio dell´impiego di camere a gas mobili montate sui rimorchi di autocarri, grazie alle quali vennero uccisi 365 malati. Per l´esattezza, veicoli del genere erano già stati impiegati in Polonia, peraltro con il ricorso alle bombole di monossido di carbonio largamente usate in precedenza negli ospizi adibiti a stazioni terminali dell´eutanasia.

Ma quando le truppe germaniche fecero irruzione nell´URSS, il trasporto delle bombole a così lunga distanza si rivelò troppo costoso e difficoltoso. Venne pertanto deciso di sostituirle con il gas di scarico degli autocarri fatto affluire nei rimorchi a chiusura ermetica. In precedenza era stato fatto un esperimento con l´esplosivo e con il monossido di carbonio a titolo di raffronto, affidato ad un esperto dell´istituto tecnico criminologico. Le cavie, cioè un folto gruppo di minorati russi, vennero fatte saltare in aria in un bunker, mentre altri venivano «trattati» in una camera a gas tradizionale. Il ricorso all´esplosivo si rivelò meno efficace e più laborioso nella fase di preparazione e in quella del recupero delle salme dilaniate.

Il ricorso a nuovi strumenti di annientamento di massa si era reso necessario a causa degli inconvenienti registrati in occasione dell´impiego dei reparti operativi e del dispendio di tempo relativo ma anche e soprattutto per lo «stress» dei loro componenti, benché collaudati da non poche esperienze in fatto di massacri. Nell´assistere ad uno di essi, lo stesso Himmler, da vero «assassino da scrittoio», si sentì male di fronte allo spettacolo ordinando di ricorrere in futuro, nella misura del possibile, alla gassazione con le esalazioni di scarico degli autocarri e autoblindo. A tal fine venne organizzato un esperimento a spese di un gruppo composto da quaranta a cinquanta prigionieri di guerra sovietici, compiuto nella zona del KZ di Sachsenhausen. Il risultato fu giudicato positivo per cui l´istituto tecnico-criminologico ebbe l´incarico di procedere alle modifiche in serie degli autoveicoli destinati alle esecuzioni. Queste ultime intanto si infittivano via via che le forze germaniche avanzavano all´interno dell´unione sovietica, anche perché gli ebrei si erano venuti a trovare improvvisamente in prima linea di fronte all´offensiva dei criminali nazisti contro l´umanità. Pur rimanendo nel mirino del regime, i malati di mente, i minorati psico-fisici, gli zingari, gli invalidi, i prigionieri russi, i «diversi», gli antinazisti e tutti i perseguitati sotto le più varie etichette erano passati in seconda linea rispetto all´obiettivo dello sterminio di un popolo intero: uomini, donne e bambini di razza ebraica.

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