Hitler decreta la «soluzione finale»

Il 30 gennaio 1939, parlando al Reichstag, Hitler dichiarò: «Se la finanza ebraica internazionale, dentro e fuori Europa, dovesse riuscire di nuovo a far precipitare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarebbe la bolscevizzazione del mondo e quindi la vittoria dell´ebraismo, bensì l´annientamento della razza ebraica in Europa». Questa profezia fu da lui ripetuta pubblicamente in varie occasioni negli anni successivi.

Sul piano legislativo, la persecuzione antiebraica era iniziata in Germania con le leggi razziali di Norimberga, emanate nel 1935, in virtù delle quali la cittadinanza a pieno diritto del Reich era riservata agli individui di puro sangue germanico. Nei confronti degli altri, cioè dei sudditi, era prevista una serie di discriminazioni, a partire dal divieto di relazioni matrimoniali o sessuali con i cittadini in conformità della legge sulla «difesa del sangue e dell´onore germanico». Negli anni seguenti vennero varati numerosi decreti integrativi che sanzionarono l´estromissione degli ebrei dai pubblici uffici, dalle professioni liberali, dalle scuole pubbliche e da ogni attività economica di rilievo, finché, a completamento delle leggi di Norimberga, con l´ultimo decreto pubblicato nel 1943, essi vennero virtualmente posti fuori legge, alla mercé della polizia e senza diritto di rivolgersi alla giustizia. In realtà, siri dall´avvento del regime erano stati fatti oggetto delle «attenzioni» della Gestapo a livello individuale; fino al 1938 si calcola che quasi venti mila vennero internati nei campi di lavoro. Dopo i pogrom del novembre 1938 con la famigerata «notte dei cristalli», originati dall´attentato a Parigi contro un diplomatico germanico, quasi dieci mila furono i deportati nel solo Lager di Buchenwald ove si registrò la perdita di 600 vite umane a causa delle disastrose condizioni ivi regnanti e delle angherie delle SS. In seguito la popolazione dei campi di lavoro aumentò grazie all´affluenza di ebrei dall´Austria e dal protettorato della Boemia e Moravia, finché nel 1942 non venne avviata la «soluzione finale» (Endlösung) del problema.

Non c´è dubbio che l´iniziativa al riguardo fu presa personalmente dal Fuhrer, il quale pero non firmò alcun ordine scritto limitandosi, come faceva spesso, a comunicare le sue decisioni a qualche esponente della sua cerchia, da lui autorizzato a divulgarle ai gerarchi interessati. Fino al marzo 1941, la soluzione prospettata dal regime per il problema ebraico poteva essere riassunta nella formula «emigrazione ed evacuazione». In concreto, era stata favorita l´emigrazione volontaria previa spoliazione degli interessati. Quanto all´evacuazione, era stato ventilato il piano di creare una riserva nel Madagascar, ma il progetto non era mai stato approfondito, anche se lo stesso Hitler lo menzionò nell´estate del 1940 in un colloquio con Mussolini. D´altro canto, nei circoli nazisti si rilevava che la degradazione degli ebrei a cittadini di seconda classe, umiliati e tartassati dalle autorità, si era rilevata inefficace quale stimolo all´emigrazione nei confronti della grande maggioranza degli ebrei del Reich, costituita da non possidenti. Anche il ricatto nei confronti delle organizzazioni internazionali di assistenza imperniato sull´uso degli ebrei quali ostaggi si era scontrato con i limiti della disponibilità di altri Paesi ad aprire le loro frontiere ai perseguitati. Nel Reich c´era già chi si poneva il problema della sorte dei 375 mila ebrei (inclusi quelli dell´Austria e del Protettorato) esistenti nel Paese allo scoppio della guerra. Dopo la vittoriosa conclusione della campagna polacca, a questa cifra si aggiunsero altri due milioni residenti nel territorio occupato; alla fine del giugno 1940 un altro mezzo milione passò sotto il controllo germanico, di cui 130 mila nella cosiddetta zona libera francese. In un primo tempo, cioè dopo l´invasione della Polonia, gli ebrei vennero fatti oggetto di un massiccio movimento di deportazione verso i centri in cui già erano rappresentati in maniera cospicua, per lasciare il posto ai «Volksdeutsche», gli oriundi tedeschi in corso di rimpatrio dai Paesi baltici, dalla Romania e da altri Paesi. Anche gli israeliti del Reich, in particolare austriaci e cechi, furono «spostati» verso i ghetti già esistenti all´est ed ora ben recintati, contrassegnati da un tasso di mortalità molto elevato a causa delle razioni da fame per gli abitanti e delle epidemie all´interno. Sullo sfondo di una direttiva, più o meno ufficiale, di fare dei territori polacchi aggregati al Reich zone «immuni» da ebrei, che dovevano invece essere concentrati nel governatorato generale, i gerarchi nazisti apparivano divisi sulla sorte da riservare alla popolazione ebraica locale. C´era chi puntava decisamente alla sua riduzione per fame e malattie e chi sosteneva la necessità di un impiego quale forza lavoro nelle industrie di importanza bellica, in condizioni peraltro molto spesso troppo logoranti per consentire un rendimento soddisfacente. Durante le prime settimane di occupazione, non erano mancati i pogrom attizzati dai nazisti ed i massacri operati dai reparti di intervento delle SS e della polizia, finché l´insediamento dell´amministrazione civile non consentì di riportare un´apparenza di legalità.

Hitler ora controllava tre milioni di israeliti. Dopo la guerra dei diciotto giorni in Polonia e la campagna «blitz» sul fronte occidentale, egli stava ora progettando un colpo d´ariete contro l´URSS. Tenendo conto del fatto che in sei settimane la Wehrmacht era riuscita a liquidare la Francia, mobilitata e pronta ad affrontare l´urto, il dittatore poteva ritenere che quattro o cinque mesi sarebbero stati più che sufficienti per porre fuori combattimento l´Armata rossa, approfittando anche del fattore sorpresa e quindi dell´impreparazione di Stalin. Le truppe germaniche, che, infatti, non erano equipaggiate per affrontare l´inverno russo, dovettero invece fermarsi e svernare a meno di 100 chilometri da Mosca.

Tutto lascia pensare che la decisione della «soluzione finale» sia stata adottata dal condottiero nazista pressoché contemporaneamente a quella sull´attacco alla Russia. Nel dicembre 1940 egli impartì l´ordine di preparare i piani di invasione, ma fu solo nel marzo 41 che essi vennero confermati. Nello stesso periodo gli ebrei, all´est come all´ovest, vennero assoggettati a particolari misure, come la ripresa delle deportazioni nel governatorato generale e la recinzione dei ghetti ancora aperti in quel territorio, nonché la registrazione in Francia ed Olanda e le razzie compiute in tali Paesi, che stavano ad indicare che il cappio si stava stringendo. D´altro canto è impensabile che Hitler, nel momento di affrontare il colosso sovietico, non si preoccupasse di definire la situazione degli ebrei sottoposti al suo dominio in previsione di un loro ulteriore aumento grazie ai territori russi che si apprestava ad occupare. La «Endlösung», comunicata a voce agli esponenti di primo piano dell´apparato nazista, doveva prevedere, quale misura preliminare, il concentramento degli ebrei, provenienti da tutti i Paesi europei, nei territori dell´est. In mancanza di un ordine scritto del capo dello stato, il primo documento, in ordine di tempo, a registrare il varo della soluzione finale è costituito da una delega del maresciallo Göring al capo del servizio di sicurezza e della Gestapo, Heydrich, recante la data del 31 luglio 1941, quando i reparti d´intervento diretti dalle SS erano già in azione da sei settimane nell´URSS in adempimento dei compiti di sterminio loro affidati. Il testo è il seguente: «Con la presente vi delego ad attuare tutti i preparativi per l´organizzazione, materiale e finanziaria, di una soluzione globale della questione ebraica nei territori europei sotto controllo tedesco. Ogni qualvolta ciò coinvolga la competenza di altre organizzazioni centrali, tali organizzazioni dovranno essere chiamate a partecipare. Vi incarico inoltre di sottopormi non appena possibile uno schema dei provvedimenti organizzativi, materiali e finanziari, per l´esecuzione della desiderata soluzione finale del problema ebraico».

Heydrich, uno dei più sanguinari gerarchi del regime, ben consapevole della fiducia accordatagli, si dette da fare. Nel dicembre 1941 venne convocata a Berlino-Wannsee una conferenza che riunì molti uomini di potere dell´apparato statale, come i sottosegretari agli interni, alla giustizia, ai territori occupati all´est ed all´ovest, i caporioni della SS, i dirigenti della KdF (la Cancelleria del Führer) e quelli della RSHA, l´ufficio centrale del Reich per la sicurezza, guidati dal responsabile per la questione ebraica, Adolf Eichmann, ufficiale delle SS. A causa dell´entrata in guerra del Giappone e della dichiarazione di guerra della Germania agli Stati Uniti, la conferenza subì un breve rinvio al 20 gennaio 1942. Il comunicato finale della conferenza doveva sancire l´abbandono della politica nazista favorevole all´emigrazione degli ebrei, sostituita con quella dell´evacuazione ad est in grandi colonne di lavoratori (con separazione dei sessi e quindi divisione delle famiglie) da adibire particolarmente alla costruzione di arterie di comunicazione. Come spiegò Heydrich, una parte di questo esercito di lavoratori sarebbe perita per «naturale eliminazione». La parte che riuscirà a sopravvivere, cioè quella dotata di maggiore resistenza, verrà sottoposta ad un «trattamento adeguato». Rappresentando il frutto di una selezione naturale, essa infatti potrebbe costituire, se lasciata libera, la cellula germinale di un nuovo sviluppo ebraico. L´oratore indicò poi le categorie esenti dalla deportazione, cioè gli anziani di oltre 65 anni, i grandi invalidi di guerra e i decorati della prima guerra mondiale, per i quali era progettato il ricovero in un ghetto speciale, quello di Theresienstadt, nonché le persone impiegate nell´industria bellica, ad eccezione degli ebrei del governatorato generale.

Chelmo SS-Hauptquartier Il rastrellamento dell´Europa da ovest verso est era comunque già in atto al momento della conferenza la quale per tanto, nell´enunciare la nuova linea di Berlino, in realtà si era limitata a dare pubblicità ad un processo in corso, e ciò nell´interno di accelerare i tempi. Dalla fonte più alta del regime era infatti partito un sollecito a risolvere possibilmente entro il 1942 la questione ebraica in modo definitivo. L´attentato di cui rimase vittima qualche mese dopo Heydrich ad opera di patrioti cechi fornì un´ulteriore esca all´intensificazione del terrorismo antiebraico con l´«operazione Reinhard», intitolata al gerarca assassinato ed affidata al maggior generale delle SS Odilo Globocnik. Destituito dalla carica di secondo Gauleiter della regione di Vienna perché coinvolto in un episodio di corruzione, Globocnik poté riabilitarsi grazie all´assoluta mancanza di scrupoli dimostrata nella guida dell´operazione. Lo stesso ministro della propaganda Goebbels ebbe a dichiarare che la procedura seguita nella deportazione degli israeliti poteva apparire «alquanto barbara» nel senso che non molti sopravvivevano al trasporto.

Due episodi salienti caratterizzano l´«operazione Reinhard»: la creazione del primo campo di sterminio e l´impiego, in questo ambito, dei nuovi «Gasauto», cioè delle camere a gas motorizzate. A parte i campi di lavoro (KL) con detenzione limitata nel tempo, anche se spesso prorogata al di là della scadenza prevista, gli altri Lager avevano registrato costantemente un´elevata mortalità a seguito dell´intenso sfruttamento dei lavoratori forzati, dell´alimentazione insufficiente, della brutalità e degli arbitri degli aguzzini. Ma l´incremento del tasso di mortalità non era mai stato un obiettivo perseguito con deliberato proposito. Questo fu invece il caso di Chelmno (Kulmhofl), un villaggio nella zona di Lodz, annessa con la vicina Posen al Reich, ove si insediò il commissario di polizia e capitano delle SS Herbert Lange, già protagonista, con il nucleo operativo da lui comandato, di esecuzioni in massa di infermi mentali nella zona. Egli fece erigere un lager e scavare un´immensa fossa a quattro chilometri dal campo. Le vittime arrivavano a bordo di autocarri ovvero, in un secondo tempo, con il treno e, su una linea a scartamento ridotto, entravano direttamente nel Lager. Per la loro eliminazione venivano impiegate camere mobili a gas.

Il campo di sterminio restò in funzione dal 5 dicembre 1941 fino all´11 marzo 1943; dopo un anno di inattività, la strage riprese nella primavera del 1944 fino all´arrivo delle forze di liberazione. Nella prima fase le vittime erano in prevalenza provenienti dai ghetti della regione; da Lodz vennero deportati nel Lager, nel corso del 1942. 70 mila ebrei, compresi quelli trasferiti a Lodz dalla Germania, dall´Austria, dalla Cecoslovacchia e dal Lussemburgo nonché quindici mila provenienti da altri campi di lavoro della zona. Gli zingari assassinati furono cinque mila; fra le vittime figurano anche molti bambini e ragazzi, probabilmente handicappati gravi, provenienti dall´URSS, dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia. Numerosi, soprattutto nei primi tempi, gli ammalati di febbre petecchiale ed i prigionieri di guerra russi; in numero ridotto gli infermi mentali.

Roma children victims of medical experiments of Josef Mengele Quando le uccisioni cessarono, la fossa venne colmata con uno strato di terra di un metro di altezza sulla quale vennero messe a coltura delle piante per meglio occultare il sito. Per solennizzare il lavoro compiuto venne organizzata al castello di Chelmno una cena d´addio con l´inevitabile scambio di brindisi fra i commensali, nel cui novero figuravano anche pezzi grossi del partito in uniforme. Quale premio per l´attività svolta all´intero personale vennero accordate quattro settimane di ferie, al termine delle quali per i militi delle SS arrivò l´ordine di trasferimento in Jugoslavia, nei ranghi della divisione Principe Eugenio. Non doveva però essere un addio definitivo a Chelmno, perché dalla Jugoslavia essi vennero richiamati ad opera dello stesso Himmler, il quale aveva accertato che nella zona erano rimasti ancora degli ebrei da eliminare. Dal maggio all´agosto 1943 ripresero pertanto nel Lager le ignobili rappresentazioni intese a trarre in inganno le vittime, alle quali si faceva credere di essere destinate ad un campo di lavoro ordinario caratterizzato dalla riunione dei nuclei familiari. Dopo il calvario dell´interminabile viaggio compiuto in condizioni bestiali nei vagoni merci stipati in misura inconcepibile, i poveretti, rianimati dalla speranza di un futuro migliore, non avevano difficoltà ad assoggettarsi alla doccia richiesta in un ampio locale camuffato come sala da bagno, mentre i loro abiti venivano disinfettati, secondo quanto veniva loro assicurato dai guardiani. Grazie al ritmo sostenuto delle esecuzioni per mezzo di gas di scarico, da settanta a novanta persone venivano ridotte in cenere nell´arco di un quarto d´ora. Così, in dodici settimane di intenso «lavoro», si riuscì ad eliminare sette mila ebrei.

La stima delle vittime assassinate nel capo di sterminio di Chelmno è problematica. Per i polacchi, esse sarebbero ammontate, dal 1941 al ´43, a 300 mila unità; per il tribunale di Bonn tale cifra sarebbe di 145 mila unità almeno per la prima fase e di 7.176 almeno per la seconda, stando al materiale disponibile.

Certamente questo primo campo di sterminio offrì un notevole contributo alla «soluzione finale» invocata anche dal governatore generale della Polonia Hans Frank in un rapporto al sottosegretario Bühler. In esso si sottolineava che il governatorato avrebbe visto «con piacere» l´avvio della soluzione finale a partire dal suo territorio, data l´inesistenza di problemi di trasporto e di impiego di forze di lavoro. E Frank rilevava che l´allontanamento degli ebrei era tanto più opportuno in quanto essi erano portatori di malattie contagiose e protagonisti di un mercato di contrabbando che danneggiava la struttura economica del paese. Si trattava dl circa due milioni e mezzo di persone, in maggior parte prive di lavoro, concludeva il mittente. Frank non aveva avuto bisogno di particolare fiuto politico per la sua offerta di fare della Polonia il centro di propulsione della «Endlösung», dopo che gli iniziali successi della Wehrmacht nell´URSS avevano trasformato il governatorato generale in una retrovia apparentemente sicura e quindi in grado di assicurare l´indisturbato svolgimento del progettato genocidio.

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