Rinnovate le tardive rimostranze
delle due Chiese in Germania

Due anni dopo lo «stop» di Hitler del 24 agosto 1941, le Chiese cattolica e protestante si decisero a registrare l´inganno perpetrato con tale mezzo ai danni della popolazione. Le uccisioni dei minorati psico-fisici erano continuate, sia pure in sordina e in proporzioni ridotte per quanto riguardava il territorio del Reich. Non solo: dall´est cominciavano a trapelare notizie di massacri che avevano colpito una cerchia più vasta di persone e che non trovavano giustificazione nell´emergenza bellica. Pertanto, il 26 settembre 1943 venne letta nei templi cattolici una «pastorale collegiale di tutti i vescovi tedeschi sui dieci comandamenti quali legge di vita dei popoli». In ordine al quinto comandamento «non uccidere» che sancisce «il diritto dell´uomo al proprio corpo e alla vita» la pastorale citava le parole di Pio XI, secondo cui le autorità non hanno alcun potere sui corpi dei sudditi. Ove non sussista alcuna colpa e quindi alcun motivo per una punizione corporale, «esse non possono ferire direttamente ovvero scalfire l´incolumità del corpo, né per ragioni genetiche né per qualsivoglia altra ragione. L´uccisione è un male di per sé stessa, anche se asseritamente perpetrata nell´interesse del bene comune, sia che si tratti di innocenti ed inermi infermi mentali, di malati incurabili e di feriti a morte, di tarati ereditari e di neonati non vitali, di ostaggi innocenti, di prigionieri di guerra disarmati e di detenuti, di persone di razza e di origine diverse. Anche le autorità possono punire con la morte soltanto i criminali veramente meritevoli della pena capitale», concludeva la citazione della pastorale.

Già nell´agosto 1941, la conferenza episcopale germanica di Fulda aveva sottolineato che ogni azione diretta all´annientamento delle «vite umane senza valore» poneva in discussione non soltanto la fede in Dio quale signore della vita e della morte, ma anche il patrimonio duraturo di ogni vita collettiva, che esige l´inviolabilità di ogni individuo innocente. Né potevano essere ammesse eccezioni ispirate ad un´occasionale utilità perché ciò avrebbe aperto la porta ad altre eccezioni a danno dell´intera comunità, intaccando il carattere sacro della vita di ogni individuo innocente e, in definitiva, il buon nome del popolo tedesco quale «Kulturvolk», cioè quale popolo civilizzato portatore di valori culturali.

Rispetto a questa presa di posizione, la pastorale del 26 settembre 1943 si soffermava con particolare enfasi sui limiti invalicabili dei poteri delle autorità, in sottintesa polemica con la piattaforma «neutralista» evangelica secondo cui la Chiesa non può e non deve interferire nelle leggi e nelle decisioni dello Stato. L´importanza del messaggio pastorale sta peraltro altrove, e precisamente nell´accenno all´iniquità della persecuzione contro le persone di razza e di origine diversa. Va ricordato che le basi della «soluzione finale» del problema ebraico erano state gettate, nel corso della conferenza di Berlino-Wannsee, già venti mesi prima e che pertanto l´«Olocausto», nel momento in cui nei templi cattolici veniva letta la pastorale, era ormai un fatto in parte compiuto. Ma è significativo l´accenno al riguardo contenuto nel messaggio perché dimostra che la Chiesa cattolica era al corrente della situazione e che aveva perciò giudicato opportuno rompere il silenzio fino allora conservato sul genocidio in atto, sia pure nelle pieghe di un documento dedicato a tutti i dieci comandamenti.

Dal canto suo, anche il sinodo prussiano della Chiesa evangelica si schierò, il 16 e 17 ottobre 1943 su posizioni analoghe sottolineando che l´ordine divino non conosce termini come annientamento, liquidazione e vita senza valore. L´uccisione di persone quali congiunti di criminali, anziani e malati di mente ovvero appartenenti ad un´altra razza, non può identificarsi con la guida a mezzo della spada accordata alle autorità da Dio, perché Dio dice «non uccidere».

Queste proteste trovarono riscontro nelle richieste che ai detenuti nei Lager venisse concessa ´assistenza spirituale e nella designazione, da parte protestante, di pastori locali a questo scopo. Ma i cattolici insistettero sulla confessione orale, recisamente negata da Heydrich.

Schloss Hartheim bei Linz Ufficialmente il regime oppose un «fin de non recevoir» alle rimostranze del clero. L´argomento era stato ufficialmente tabù all´atto del varo dell´«operazione eutanasia» come pure al momento dell´ «alto là» di Hitler, che avrebbe dovuto comportare la smobilitazione delle camere a gas. Ciò avvenne a distanza di qualche mese, dopo cioè che erano stati raggiunti gli obiettivi fissati per ciascuno degli istituti «terminali» nel quadro della riduzione globale degli effettivi dei minorati, con qualche eccezione. Ad esempio, a Hartheim presso Linz l´ultima gassazione venne compiuta il 12 dicembre 1944. Hadamar e Hartheim svolsero un ruolo di primo piano, con i loro medici, il personale e gli impianti, nell´eliminazione dei detenuti che, nei campi di concentramento, erano, divenuti invalidi o inabili al lavoro. Nel loro viaggio verso le camere a gas all´ovest, costoro si incrociavano con i convogli che dall´ovest andavano verso est, in direzione opposta ma con un´analoga stazione terminale.

Gli altri medici già impegnati negli istituti di morte proseguirono in buona parte la loro campagna di sfoltimento dei minorati senza l´apporto tecnologico e senza formulari, ma non senza il sostegno delle autorità, almeno in Baviera. Nel corso di una conferenza svoltasi al ministero bavarese degli interni nel novembre 1942, il commissario regionale per la sanità, Schultze, sollecitò infatti dai capi istituto presenti l´introduzione di una dieta ridotta per i malati incurabili. Poco dopo venne effettivamente inoltrata agli interessati una circolare in cui si ordinava il miglioramento delle razioni alimentari per i ricoverati in grado di lavorare o in trattamento terapeutico ovvero per i minori e per altre categorie, ma a spese degli altri, destinati a perire. Con la cosiddetta «Dieta E», i malati invalidi e inabili al lavoro erano in pratica ridotti a cibarsi di scorze di patate, ortiche, cavoli, bietole e altri ortaggi preparati in umido senza grassi di sorta. A questa dieta da fame si accompagnavano condizioni igieniche e di riscaldamento insufficienti nonché la somministrazione di barbiturici e medicinali in dosi alla lunga letali per organismi già debilitati. La selezione dei candidati alla morte per stenti era di competenza del medico in base al criterio della capacità lavorativa, ma spesso partecipava alle decisioni il personale, soprattutto per quanto riguardava pazienti scomodi o difficili o, in alternativa, per impedire l´esecuzione di pazienti condannati dal verdetto medico.

Quanto fosse diffusa questa prassi, estremamente crudele nei confronti degli infermi non dotati di capacità lavorativa, è difficile dire. Nella maggioranza degli istituti essa non venne seguita, anche per la remora costituita dall´assunzione, sia pure teorica, delle relative responsabilità. Alcuni medici comunque, sempre nell´ambito di questa «eutanasia selvaggia», optarono per altri metodi, ancora più inusuali, come l´elettroshock e le iniezioni di aria. Negli ospizi in cui essa venne praticata, si radicò però a tal punto che neppure il crollo del nazismo poté estirparla, come accadde ad esempio a Kaufbeuren in Baviera ove un paziente, un bambino, venne ucciso dal medico ancora ventinove giorni dopo l´occupazione americana della zona.

Da ricordare una sorta di gemellaggio operativo venutosi ad instaurare fra Hartheim, distintosi fra gli altri impianti eutanasici per un triste primato, quello delle esecuzioni (18 mila nel periodo delle stragi legali), e il campo di concentramento di Mauthausen, a trenta chilometri. di distanza soltanto, che si era rivelato incapace di affrontare una marea di deportati in arrivo. I responsabili della «T 4», con Allers alla testa, dimostrarono la massima comprensione, omettendo le consuete visite mediche di selezione e ponendo a disposizione la camera a gas con il relativo forno crematorio.

Impegnatissimi a Hartheim, la cui attività comportò complessivamente trenta mila vittime, i medici Lonauer e Renno anche nella seconda fase dell´«operazione 14 f 13», allorché la selezione colpì esclusivamente i malati di mente, peraltro con l´ordine di arruolare tutti i lavoratori, nei limiti delle possibilità fisiche, per l´industria bellica.

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