Inorriditi i delegati italiani a Minsk:
Roma contro Berlino sul problema ebraico

Eugen Kogon, nella sua opera «Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas», riferisce in merito ad una visita di rappresentanti a Minsk nei seguenti termini: Quando il 15 maggio 1943 delegati del PNF visitarono la città di Minsk, il commissario generale tedesco per la Russia bianca, Kube, mostrò loro una chiesa usata come magazzino. Il consigliere di legazione di prima classe von Thadden, del ministero degli esteri di Berlino, venne a sapere dal consigliere di legazione Rademacher della visita e scrisse nelle sue note al riguardo: «Alla domanda degli italiani su che cosa fossero i piccoli pacchetti e le valigie colà accatastate, Kube dichiarò che si trattava di tutto ciò che era rimasto degli ebrei deportati a Minsk. Successivamente Kube mostrò agli italiani una camera a gas nella quale sarebbe stata effettuata l´uccisione degli ebrei. I fascisti sarebbero rimasti addirittura sconvolti».

Nel maggio 1943, all´epoca di questa visita, l´«Olocausto» era in pieno svolgimento. Non si può dubitare della fede nazista di Wilhelm Kube, uno dei membri fondatori del partito. Egli però avrebbe trovato da ridire sulle deportazioni di ebrei tedeschi del Reich nella Russia bianca, ove infuriavano numerose epidemie; stando a certe voci avrebbe addirittura regalato delle caramelle a bambini ebrei. Comunque, se inizialmente ci furono delle remore, Kube successivamente si allineò in pieno alle direttive dei superiori trucidando a Minsk la popolazione del ghetto russo e di quello tedesco e smentendo così quanti lo avevano definito «troppo molle» per il compito affidatogli.

Sicuramente il commissario generale per la Russia bianca non era un diplomatico e d´altro canto non c´era motivo per cui dovesse nascondere la realtà di fronte ai rappresentanti di un paese alleato che, forse, riteneva più o meno informati della situazione. Ed invece gli italiani caddero dalle nuvole, mostrandosi inorriditi con una reazione che certamente sarebbe stata condivisa dalla stragrande maggioranza dei loro connazionali se fossero stati a conoscenza dello sviluppo dell´«Olocausto». Trattandosi di un argomento delicato, la stampa della Penisola era stata «invitata» ad osservare la massima discrezione al fine di non turbare i rapporti fra i due Paesi. Prima della guerra, Roma aveva aderito non senza esitazioni alla campagna antisemita in Germania adottando alcune misure discriminatorie nei confronti degli ebrei, ma si era guardata bene dal premere il piede sull´acceleratore, ed anche in piena guerra ci teneva a differenziarsi e a dissociarsi da quelli che considerava gli «eccessi» del paese alleato, anche a costo di provocarne le rimostranze. Questa politica di non allineamento venne seguita in tutte le zone di presenza militare italiana, come in Tunisia, Grecia, Croazia ed altresì in Francia. In quest´ultimo Paese le misure adottate determinarono una pressione congiunta del governo di Vichy e delle autorità germaniche nei confronti dello stesso Mussolini, particolarmente sensibile alle istanze provenienti da Berlino. L´azione del ministero degli esteri di Roma, con le documentazioni «riservate» sulle atrocità dei nazisti nei territori occupati all´est, si contrappose validamente all´influenza di Von Ribbentrop sul dittatore fascista. «Nessun Paese, neppure la Germania alleata - si sottolineava in una nota accompagnatoria delle documentazioni stesse - poteva pretendere di associare l´Italia, culla della cristianità e del diritto, a tali misfatti».

Benito Mussolini Adolf Hitler Analogo comportamento venne osservato in Croazia nei confronti del governo Pavelic e dei germanici, da parte delle autorità della zona di occupazione italiana, con una particolare accentuazione, da parte del governo Badoglio, dei «principi di umanità che sono nostro insopprimibile patrimonio spirituale».

Se i rappresentanti del PNF in visita a Minsk erano caduti dalle nuvole per quanto riguarda l´eccidio in atto, i circoli ufficiali italiani ne erano evidentemente al corrente. Sarebbe stato difficile nascondere la portata delle stragi di fronte ad un alleato, anche se Berlino si manteneva fedele alla consegna di negare spudoratamente, di fronte all´opinione pubblica mondiale, i crimini di cui i germanici si rendevano responsabili nei territori occupati dell´est. I nazisti erano addirittura passati alla controffensiva bollando come «menzognere speculazioni» le notizie che qua e là trapelavano sul feroce supplizio di un popolo intero e presentando invece al riguardo una loro, ben diversa realtà: il «ghetto modello» di Theresienstadt, concepito a loro dire come centro di riposo per ebrei al di sopra dei 65 anni e per ebrei grandi invalidi di guerra o con importanti decorazioni al valore militare. I ricoverati avrebbero goduto di una larga autonomia garantita da un triumvirato composto da ebrei nonché dall´assenza di militi delle SS, secondo il progetto originario. Poi i nazisti pensarono bene di trarre profitto dal progetto estendendo le categorie interessate ai benestanti ebrei in grado di finanziarsi una «vecchiaia serena e confortevole» al riparo degli sgherri del regime e dagli arbitri di quest´ultimo. Nel corso del 1942 furono novanta mila i nuovi abitanti, provenienti dal protettorato di Boemia (quasi quaranta mila), dal «vecchio Reich» (trentatre mila circa) e dall´Austria, rispetto alla popolazione originaria di 7 mila abitanti. Ma alla fine dell´anno la popolazione si ridusse a meno di cinquanta mila unità a causa delle deportazioni verso le camere a gas mobili della foresta di Minsk e verso i campi di sterminio di Treblinka ed Auschwitz. Nel 1943 altri convogli partirono per la zona di Auschwitz ove era previsto l´impiego, previa «scrematura» degli inabili, in alcune unità lavorative. È rimasta una registrazione, pressoché l´unica, dei risultati della selezione attuata per tre convogli: del primo, composto da 2 mila ebrei, vennero avviati al lavoro 418; del secondo, composto da 2.029 deportati, gli abili furono 228 mentre del terzo, su 993 passeggeri 284 vennero avviati al lavoro. Tutti gli altri subirono il «trattamento speciale», mentre dei 930 che si salvarono in quell´occasione soltanto 44 sopravvissero alla fine del conflitto.

Nel frattempo spaventosi vuoti si aprivano fra i vecchi rimasti in una città estremamente sovraffollata a soffrire la fame, dato che le razioni erano addirittura inferiori a quelle distribuite ad Auschwitz. Non c´erano le SS ma comandava la Gestapo, alla quale dovevano inchinarsi anche i tre amministratori ebrei. Ciononostante, il ministero degli esteri di Von Ribbentrop si fece promotore in tre occasioni di visite di diplomatici stranieri ed acconsentì ad un´ispezione della Croce rossa, i cui delegati rimasero colpiti dall´ospedale e dal teatro ebraico. Nell´aprile 1945, Himmler, che voleva offrire i suoi servizi agli alleati per continuare la guerra contro i bolscevichi, si vantò con un esponente dell´organizzazione ebraica mondiale del «modello Theresienstadt» in quanto città amministrata da ebrei, un modello che egli avrebbe voluto estendere a tutti i «Lager», secondo le sue affermazioni.

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