A Trieste, fino al 29 aprile 1945,
l´unico campo di sterminio in Italia

Il 24 maggio 1994, la stampa dava notizia che due anni prima, e precisamente l´11 maggio 1992, il secondo procedimento penale per i crimini commessi nell´unico Lager di sterminio in territorio italiano e nell´intera Europa occidentale, quello della Risiera di San Sabba a Trieste, era stato archiviato, a conclusione del capitolo giudiziario aperto sotto questo titolo. L´inusuale ritardo nell´annuncio potrebbe essere attribuito al cosiddetto «caso Demjanjuk», l´ucraino sospettato di essere il famigerato «boia di Treblinka» che figurava in testa alla lista degli indiziati per il «processo della Risiera N. 2». Secondo questa versione, le autorità italiane avrebbero atteso l´esito del dibattimento aperto contro di lui in Israele, conclusosi il 29 luglio 1993 con l´assoluzione dell´imputato per insufficienza di prove.

L´ipotesi non regge se si presta fede alla precisazione secondo cui l´archiviazione risale a quattordici mesi prima della sentenza dei giudici israeliani, pur essendo stata resa nota a quasi un anno di distanza dalla stessa.

Resta il fatto che il «caso Demjanjuk» era intervenuto a polarizzare l´attenzione sulla possibile trattazione in aula della seconda fase di una vicenda giudiziaria avviata dalle autorità italiane nel lontano 1970. Al riguardo, il decreto di archiviazione reca: «Gli elementi acquisiti nel corso dell´indagine preliminare non sono esaustivi per far concludere che nella persona dell´indagato si identifichi quel militare ucraino di grande corporatura e di inusitata ferocia del quale alcune persone interrogate hanno attestato la presenza e la funesta operatività nella Risiera di San Sabba». In particolare, vengono definiti di modestissimo rilievo probatorio gli elementi emersi nelle deposizioni dei tre testimoni che avrebbero riconosciuto l´aguzzino della Risiera nella foto di Demjanjuk. Peraltro Simon Wiesenthal si era detto «quasi del tutto sicuro» che il boia di Treblinka fosse arrivato a Trieste assieme al comandante Stangl e ad un folto gruppo di individui che nel Lager di Treblinka avevano operato, dato che San Sabba era stata prescelta dal Führer quale terreno operativo per le SS reduci dai Lager di annientamento all´Est.

T4 Members in Trieste Prove sufficienti per il rinvio a giudizio erano state invece raccolte a carico di Otto Stadie, infermiere dell´organizzazione «T 4» nell´istituto eutanasico di Bernburg diretto dal dott. Eberl, poi trasferito nel campo di sterminio di Treblinka e quindi a Trieste. Costui nel frattempo è però deceduto. Sono stati invece prosciolti l´aiutante maggiore di Odilo Globocnik e capitano delle SS Ernst Lerch, il sottotenente delle SS Kurt Franz, che dopo aver operato nei ranghi della «T 4» a Grafeneck era anch´egli passato a Treblinka ove, nella sua qualità di vicecomandante, poté dar prova della sua ferocia, il capitano delle SS Georg Michaelsen, ripetutamente proposto da Globocnik per una promozione in riconoscimento dei meriti acquisiti nei massacri di Varsavia e di Biaystok, comandante delle SS e della polizia in Istria dapprima e poi nella zona di Trieste, il maggiore delle SS August Schiffer, capo dell´ufficio IV della Gestapo, ed Ernest Weinmann.

Al di là della pubblicazione con due anni di ritardo del decreto, indubbiamente ha influito negativamente sullo sviluppo di un´istruttoria giudiziaria conclusasi a quasi mezzo secolo di distanza dai crimini inquisiti, il fatto che essa si era aperta appena nel 1970. In realtà, le notizie al riguardo erano trapelate già nel 1944, tanto che nel 1945 e negli anni successivi si moltiplicarono denunce e prese di posizione mentre i Caduti nella Risiera vennero regolarmente commemorati. A giustificazione del mancato intervento della magistratura si addusse l´incuria del governo militare alleato e l´avocazione, da parte sua, di documenti importanti, pur tenendo conto che le forze germaniche avevano provveduto a distruggere tutte le carte compromettenti e lo stesso forno crematorio. Nel 1954 comunque la situazione provvisoria dell´immediato dopoguerra venne superata con il memorandum d´intesa e la restituzione di Trieste all´Italia, senza che la magistratura si muovesse per recuperare il tempo perduto, anche se nel 65 la Risiera era stata dichiarata monumento nazionale. Il protrarsi di questa inazione venne poi spiegato, negli ambienti giudiziari, con la scarsa volontà di collaborazione dei magistrati della Germania federale. Tuttavia, proprio un´iniziativa di questi ultimi ebbe il potere di smuovere le acque. Nel maggio 1964 il dott. Dettmer, giudice istruttore presso il tribunale di Amburgo, inviava all´Associazione partigiani italiani, aderente alla FILV, una richiesta di documenti e notizie su deportazioni e massacri compiuti dai nazisti nel Friuli-Venezia Giulia. In risposta, le associazioni partigiane della regione, l´istituto regionale di studi sul movimento di liberazione (IRSML), le associazioni dei reduci dall´internamento e la comunità israelitica di Trieste inoltravano al tribunale di Amburgo un primo rapporto sugli eccidi compiuti dalle SS nella regione e in particolare nella Risiera di San Sabba, alla periferia di Trieste, con i nominativi dei presunti responsabili. In risposta alla richiesta rivolta dall´IRSML al tribunale di Amburgo circa l´esistenza di istruttorie sui misfatti di criminali nazisti della OZAK (Zona di operazione Litorale adriatico), la magistratura di Francoforte sul Meno poteva rispondere affermativamente per quanto riguarda Dietrich Allers, già inquisito quale capo della «T 4» e indiziato per il massacro di centinaia di migliaia di persone. Il 4 febbraio 1966 il giudice istruttore di Francoforte informava dell´apertura di un´inchiesta sui fatti della Risiera e di un´iniziativa del ministro della giustizia del Land dell´Assia volta a prendere contatti con la magistratura italiana per la raccolta delle prove e l´escussione dei testi a Trieste.

Due magistrati germanici poterono effettivamente assistere ai primi interrogatori dei testi loro segnalati dall´IRSLM e il tribunale di Francoforte fu in grado di interrogare per rogatoria altri testi.

Finalmente nel dicembre 1968 il giudice istruttore del tribunale di Trieste poté mettere in moto il meccanismo processuale; due anni dopo il procuratore generale comunicò che gli elementi venuti alla luce consentivano un´azione penale, salvo la competenza delle autorità militari.

Puntualmente queste ultime intervennero bloccando così la procedura finché la Cassazione nel 1973 sanciva la giurisdizione della magistratura ordinaria.

Nel trentennale dei crimini inquisiti, e precisamente il 22 gennaio 1975, il giudice istruttore dott. Serbo depositava la sentenza di rinvio a giudizio soltanto contro due dei principali responsabili, Dietrich Allers, e Joseph Oberhauser. E dovevano passare altri sedici anni perché il processo della «Risiera bis» venisse dichiarato improponibile. In relazione pure alle notizie circa i soggiorni prolungati di criminali nazisti nella città giuliana, Simon Wiesenthal ha dichiarato che «in Italia non si è mai manifestato interesse a processare i responsabili di crimini di guerra».

Le radici del massacro di ebrei, partigiani, oppositori ed ostaggi innocenti, perpetrato tra la fine del 1943 e l´aprile del 1945 nella Risiera di San Sabba, affondano nella cosiddetta «operazione Reinhard» affidata al generale delle SS Odilo Globocnik e finalizzata alla distruzione in territorio polacco dell´elemento ebraico rastrellato nell´intera Europa controllata dai nazisti. Il successo dell´operazione è illustrato dal bilancio delle vittime, calcolato in due milioni e mezzo di persone. Ma i metodi impiegati dagli aguzzini avevano causato lo scoppio di una rivolta dei detenuti a Treblinka nell´agosto 1943, conclusa con un bagno di sangue ad opera delle SS. Una ribellione esplose anche a Sobibor, peraltro nell´ottobre dello stesso anno, quando cioè Globocnik aveva già comunicato a Berlino che la missione di cui era stato investito era conclusa. Hitler, nell´ordinare che i pochi israeliti superstiti venissero impiegati nell´industria bellica, conferì a Globocnik un altro, importante incarico a Trieste, città di cui quest´ultimo era originario. Dopo la capitolazione italiana, si era infatti creato il problema di assicurare i collegamenti fra le unità germaniche che avevano occupato il Friuli-Venezia Giulia assieme alla maggior parte della Penisola e quelle, messe a dura prova in territorio jugoslavo da una guerra partigiana sempre più aspra grazie anche al bottino strappato agli ex-alleati dei tedeschi. Nel contempo si mirava a gettare le basi di una futura annessione al Reich della zona, recidendone i legami con la Repubblica sociale costituita da Mussolini nel nord, senza peraltro intaccare i rapporti di alleanza tra fascisti e nazisti. Questo difficile esercizio equilibristico venne accollato a Friedrich Rainer, Gauleiter della Carinzia, nominato supremo commissario dell´OZAK, la zona di operazioni del Litorale adriatico, dopo che fra il 1941 e il 1943 aveva governato la Slovenia nella parte occupata dai nazisti. La denominazione di «zona di operazioni» doveva appunto coprire il distacco dall´Italia sotto il manto delle esigenze belliche, al pari della «zona di operazioni delle Prealpi» comprendente le province di Bolzano, Trento e Belluno.

Himmler, dal canto suo, aveva designato Odilo Globocnik, amico e compagno di lotta di Rainer nel partito nazista austriaco prima ancora dell´annessione alla Germania, alla carica di capo supremo delle SS e della polizia nell´OZAK. Formalmente egli avrebbe dovuto, in questa carica, essere dipendente dal capo delle SS e della polizia per l´Italia, gen. Wolf. A conferma dell´ampiezza del mandato conferitogli, Globocnik si vide invece riconosciuta la piena autonomia, avendo come superiore diretto lo stesso Himmler. Pertanto fu in grado di costituire, per l´impiego nel territorio dell´OZAK, un «Einsatzkommando» sul modello di quello già operante in Polonia nell´ambito dell´«operazione Reinhard» da lui diretta. Quanto al personale, non mancò di avvalersi, nella misura del possibile, di ufficiali, sottoufficiali e militi già impegnati nei ranghi della «T 4» e, successivamente, in Polonia. Infatti, su un organico complessivo di circa 150 elementi, chiamati a far parte del «Kommando», ben 92 provenivano dall´operazione eutanasica; si potevano quindi considerare come specialisti in tema di massacri dotati di un´agguerrita esperienza in vista dell´impiego nel Litorale adriatico.

I preposti ai campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka, cioè gli ufficiali delle SS Hering (poi Oberhauser), Reichleitern e Stangl, che in Polonia avevano agito agli ordini del maggiore Christian Wirth, ispettore generale dei tre Lager, diressero nell´OZAK le sezioni dell´«Einsatzkommando» denominate R 1, R 2 e R 3 di Trieste, rispettivamente di Fiume e Udine, restando alle dipendenze di Wirth. Questi venne ucciso in un agguato partigiano nel maggio 1944; il suo posto venne preso da Dietrich Allers, già dirigente della «T 4» e quindi ben qualificato. La sigla «R» è da ricondurre a «Reinhard», nel ricordo della più sanguinosa operazione della storia europea. Hering venne poi sostituito da Oberhauser.

I nuclei operativi, composti da elementi del SD (il potente servizio di sicurezza), della Kripo (polizia criminale), della Gestapo (polizia politica segreta) e della Sipo (la pubblica sicurezza che si occupava in particolare del mantenimento dell´ordine pubblico), costituivano un agile strumento nelle mani di Himmler per il conseguimento dei fini del genocidio e della liquidazione degli avversari del nazismo. Essi si proponevano pertanto l´individuazione e l´eliminazione dei nemici del Reich, con piena licenza di uccidere e di razziare i beni dei perseguitati e delle vittime, conferita agli ufficiali al comando dei tre reparti, senza necessità di una convalida giuridica sia pure formale. A questo proposito veniva applicata la cosiddetta ordinanza «Nacht und Nebel» (Notte e nebbia) di Hitler del 7 dicembre 1941, che decretava la possibilità di far sparire «nella notte e nella nebbia» gli attentatori alla sicurezza del Reich, evitando qualsiasi processo in quanto suscettibile di provocare disordini e martiri.

A questo fine si prestava la Risiera di San Sabba con il suo forno crematorio per i detenuti che venivano ivi soppressi e per le vittime uccise altrove e che inoltre fungeva da stazione di transito per le deportazioni dirette ai KZ tedeschi. Ufficialmente infatti la Risiera era un «Polizeihaftlager»: essa era cioè adibita alla detenzione di persone soggette a misure di polizia. Si trattava di un campo del tutto particolare, per le sue dimensioni ridotte e per la sua collocazione nella cinta urbana. Secondo il comandante del Lager Oberhauser, arrivato fra i primi a Trieste nel settembre 1943, il crematorio venne realizzato qualche mese dopo, grazie al capomastro Lambert, uno specialista in materia che aveva costruito anche in altri campi opere dello stesso genere. Per quanto concerne le esecuzioni di gruppo, Oberhauser indicò quale strumento il gas di scarico dei motori a nafta, già usato nei Lager dell´est. Numerosi testi deposero infatti circa il rombo di motori d´auto a pieno regime che si faceva sentire durante le esecuzioni di gruppo, mentre per quelle singole erano trapelate notizie circa i metodi particolarmente brutali usati dagli ausiliari ucraini. Il bilancio delle vittime dovrebbe aggirarsi sulle quattro-cinque mila persone, di cui circa due mila ebrei.

Questi ultimi erano stati particolarmente presi di mira dal «Kommando», che peraltro non aveva disdegnato le tangenti offerte dagli interessati e dai loro congiunti in cambio della libertà o di particolari agevolazioni, a dimostrazione che, con l´avvicinarsi della disfatta, la venalità e la corruzione cominciavano ad avere il sopravvento anche fra i «killer» in uniforme. Di uno sconvolgente episodio fu vittima la moglie ariana di un ebreo, arrestata assieme al marito e condotta nella Risiera. Mentre il consorte venne deportato in un KZ germanico, alla donna fu notificata qualche giorno dopo la scarcerazione. Recatasi dall´ufficiale delle SS per svolgere la relativa pratica, chiese la restituzione delle trenta mila lire che aveva con sé al momento dell´arresto. Le fu risposto che si sarebbe fatta la relativa ricerca e che il denaro le sarebbe stato consegnato più tardi al momento del rilascio in libertà. La donna venne prelevata in serata ma non per essere scarcerata. La mattina dopo i suoi compagni di prigionia trovarono infatti i vestiti della poveretta nel magazzino del Lager, nel quale venivano risposti gli indumenti di coloro che venivano uccisi: una consuetudine che comprovava agli occhi degli altri prigionieri le esecuzioni portate a termine nella notte.

Un testimone ebreo ha riferito di aver versato, tramite un conoscente, la somma di 380 mila lire ad un interprete di servizio alla Risiera, dopo qualche settimana di trattative, per ottenere la liberazione della sua convivente arrestata dalle SS, che lo ricercavano, e della famiglia che lo aveva ospitato. Dopo un paio di settimane, infatti, tutti vennero rilasciati. Da rilevare che il teste era stato catturato in precedenza da una banda collaborazionista italiana, la banda Collotti, e rilasciato contro il pagamento di un riscatto di 700 mila lire.

Un altro episodio riguarda un giovane di venti anni arrestato in pieno centro mentre era in attesa della fidanzata. Il giovane, arruolato obbligatoriamente nell´organizzazione del lavoro Todt, era renitente. Dalle carceri cittadine venne trasferito nella Risiera e ivi assassinato. La sorte del ragazzo sarebbe da attribuire al mancato pagamento della consueta tangente per l´esonero dal servizio obbligatorio.

Data la prevalenza, negli effettivi del «Kommando», dei reduci della «T 4», non può stupire il prelevamento e l´eliminazione di un gruppo di malati di mente ebrei ricoverati all´ospedale psichiatrico triestino. Ad alcuni ebrei sani di mente ma debilitati per l´età e le malattie venne chiesto se per la deportazione in Germania preferissero un treno ospedale. Coloro che in buona fede avevano accettato finirono «in fumo», quel fumo dall´odore acre e nauseabondo caratteristico dei campi di sterminio nazisti. I detenuti della Risiera sapevano perfettamente che cosa significassero quelle volute di fumo che si sprigionavano dalla ciminiera a conclusione di notti di terrore dominate dal frastuono di motori d´auto, di altoparlanti ad alto volume e di latrati di cani. Alcuni testi estranei al campo riferirono di aver più volte visto soldati tedeschi salire su una barca con un carico di sacchi che vuotavano in mare; erano ossa umane, come fu possibile accertare a guerra finita grazie al dragaggio di un basso fondale. Ossa e ceneri umane vennero alla luce anche durante i lavori di rimozione delle merci di una parte dell´edificio della Risiera, fatto saltare dal «Kommando» prima della ritirata.

Molto consistente, nel novero delle vittime del Lager, l´aliquota di sloveni e croati, non solo combattenti partigiani ed attivisti politici, ma anche uomini, donne e bambini strappati alle loro case e ai loro paesi del Carso e dell´Istria dati alle fiamme e devastati dai nazisti. Ma fra i detenuti c´erano anche molti italiani, gran parte dei quali furono uccisi: comunisti e non comunisti, ostaggi, renitenti alle leve dei nazisti e dei fascisti, giuliani e friulani, partigiani delle formazioni della «Garibaldi» e dell´«Osoppo». Il giudice istruttore del primo processo aveva voluto operare una distinzione fra vittime «pure» (ebrei, bambini, ostaggi) e «non innocenti» (partigiani ed attivisti politici di opposizione) ma il vice-presidente deIl´ANED (l´associazione degli ex deportati) aveva rilevato che una distinzione del genere non era stata fatta neppure dalla Germania federale, che aveva riconosciuto a tutti i deportati italiani nei Lager il diritto ad un indennizzo quale riconoscimento dei torti subiti. La distinzione non venne poi accolta dalla Corte, anche perché si era accertato che partigiani e resistenti erano stati giustiziati senza una sentenza capitale, tranne che per il periodo giugno-luglio 1944, dopodiché si tornò alla prassi precedente, quella sancita dall´ordinanza «Nacht und Nebel». Le uccisioni nella Risiera, cioè alla periferia cittadina, ovviamente non rimasero segrete, tanto che lo stesso prefetto di nomina nazista, in carica all´epoca, parlò successivamente di una «diffusa credenza» al riguardo, che comunque non approfondì.

La sentenza del 29 aprile 1976 condannava Josef Oberhauser, contumace, alla pena dell´ergastolo; la pena veniva confermata in appello. L´altro imputato, Dietrich Allers, dirigente della «T 4», era nel frattempo deceduto.

Giustizia non era stata fatta né poteva essere fatta, perché essa consegue i suoi effetti soltanto in tempi brevi, quando l´accertamento della verità lo consente, ovvero in tempi medi, se esso si presenta difficoltoso. A lungo termine, subentrando il processo generazionale e fatti salvi i reati imprescrittibili, il compito di fare giustizia spetta agli storici. Giustamente il dispositivo della sentenza pronunciata a Trieste pone al riguardo in evidenza che nell´arco di tempo compreso fra l´autunno del 1943 e il 29 aprile 1945, nel territorio del Litorale adriatico si era consumato il terzo atto di quella tragedia europea che, nelle stragi dell´operazione «T 4» e dei campi dell´Est, aveva avuto le sue allucinanti sequenze. La guerra, dichiarata all´umanità negli istituti dell´eutanasia e culminata nell´«operazione Reinhard», aveva avuto alla Risiera di San Sabba il suo ultimo colpo di coda con protagonisti, non a caso, in parte immutati.

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